L’uno-due polacco all’Ucraina delle ultime settimane è stato fragoroso. Varsavia in pochi giorni ha dapprima tagliato la strada a Kiev sull’accordo sul grano, mettendo di fatto il veto all’importazione europea di cereali prodotti in Ucraina, e in seguito ha stoppato l’invio di sistemi d’arma al Paese invaso dalla Federazione Russa il 24 febbraio 2022.
Posizioni che possono stupire a un primo avviso, vista la tenacia con cui la Polonia ha sostenuto Kiev prima e dopo l’invasione. Col Regno Unito Varsavia è stata la potenza della Nato maggiormente propensa a sostenere l’Ucraina contro l’aggressione russa. Secondo l’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute le armi e i dispositivi d’utilità militare (dalle infrastrutture mediche ai dispositivi di protezione per i soldati, passando per i mezzi di trasporto utili a fini logistici e le razioni) inviate da Varsavia a Kiev hanno toccato un valore complessivo di quasi 4,3 miliardi di euro.
Varsavia, Londra e i Paesi baltici sono stati gli unici Paesi a intendere la guerra d’Ucraina come una guerra per procura contro Mosca fin dall’inizio, ben prima che l’inizialmente titubante sostegno americano aumentasse. Ma in queste settimane viene fuori la realtà dei fatti: il nazionalismo polacco del governo conservatore di Mateusz Morawiecki e quello ucraino emerso dalla guerra tra i “falchi” bellicisti dello staff di Volodymyr Zelensky sono tendenzialmente inconciliabili. E quella tra Polonia e Ucraina, granitica a parole, è in realtà un’alleanza strumentale. Fondamentale per Varsavia per sdoganare il contrasto alla Russia.
In quest’ottica, lo stop alle armi, i cui flussi si erano già drasticamente ridotti da tempo, è comprensibile: la Polonia ha utilizzato il sostegno a Kiev per accelerare la procedura di svuotamento degli arsenali e accelerare il suo riarmo lanciato soprattutto con i sistemi americani, britannici e sudcoreani. Ma un conto è il sostegno a Kiev funzionale alla lotta alle pretese russe, un altro il sacro egoismo che il nazionalismo polacco nell’Unione Europea mira a consolidare.
Il grano è dunque il vero pomo della discordia tra Varsavia e Kiev. Lo schiaffo polacco di negare all’Ucraina l’accesso del suo grano ai mercati europei rappresenta non una ripicca per qualche sgarbo, ma una partita a più livelli. C’entra il futuro dell’agricoltura polacca, ma anche il rapporto tra Varsavia e Bruxelles: “Le tensioni sulle esportazioni agricole si sono rafforzate da quando la Commissione europea si è mossa per consentire le vendite di grano ucraino in tutto il blocco, ponendo fine alle restrizioni sulle importazioni di grano che cinque paesi orientali dell’Ue avevano originariamente cercato di imporre per proteggere i loro agricoltori dalla concorrenza”, con la Polonia in testa, nota Politico.eu. “Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno risposto alla mossa della Commissione imponendo divieti unilaterali sulle importazioni di grano ucraino” a cui l’Ucraina ha contro-risposto “intentando azioni legali contro i tre paesi presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio” e ritirandole, ad ora, solo contro la Slovacchia. Il cui prossimo appuntamento elettorale rischia però di mettere allo scoperto il sostegno all’Ucraina, ritenuto un problema politico dalle formazioni filorusse in netta avanzata.
I nazionalisti di Varsavia temono che l’avvicinamento tra Ucraina e Ue possa danneggiare le prospettive della Polonia sul fronte della ricezione di finanziamenti europei sui fondi di sviluppo e coesione e, soprattutto, sulla Politica agricola comune (Pac) dell’Ue, che rappresenta oltre un terzo del bilancio comunitario e alloca i fondi in proporzione all’estensione dei fondi. L’Ucraina, con le sue immense pianure agricole, forte di una capacità di export agricolo da 27,8 miliardi di euro prima della guerra, il 41% del totale dei valori dell’export nazionale, sconvolgerebbe la Pac entrando nell’Ue drenando risorse a Paesi estesi come la Polonia, sussidiando di fatto il suo grano con i fondi di Bruxelles. Tutto questo senza tenere il fatto che, come ricorda la fondazione ambientalista Arc 2000, in Ucraina “i conglomerati gestiti da oligarchi potrebbero avere diritto a decine di milioni di euro in denaro dei contribuenti”.
17 dei 25 miliardi di dollari di Pac che la Polonia riceverà tra il 2023 e il 2027, seconda fase dell’attuale settenato di bilancio Ue, saranno destinati agli 1,4 milioni di piccole e medie aziende agricole, spesso individuali, del Paese. Una roccaforte elettorale per il PiS, il partito Diritto e Giustizia che mira alla riconferma alle prossime votazioni autunnali, che mira a mobilitare la sua base catto-conservatrice, nazionalista e radicata nella Polonia rurale e agricola contro ogni possibile minaccia allo status quo. Calcolo elettorale e dinamiche politiche convergono mentre la Polonia distanzia l’uso strumentale del sostegno all’Ucraina come leva anti-russa dalla sincera volontà di contribuire allo sviluppo di Kiev nel suo percorso verso l’integrazione europea. Del resto, i nazionalismi polacco e ucraino sono intrinsecamente rivali, come dimostra la loro focalizzazione sulla terra, storicamente polacca e oggi ucraina, della Galizia e di Leopoli e il vissuto doloroso di esperienze nelle “terre di sangue” ai tempi della seconda guerra mondiale. La Polonia ha già, simbolicamente, protestata contro l’amica Ucraina per l’espansione del culto pubblico di Stepan Bandera, collaborazionista filotedesco dell’Esercito Insurrezionale Ucraino (Upa) che contribuì all’uccisione di 100mila polacchi ai tempi della Seconda guerra mondiale. Ora divisioni ben più cogenti potrebbero dividere i due interessi nazionali e la marcia di Kiev verso l’Europa potrebbe farsi ben più intricata. Il tutto per un pugno di grano.