Puntuale, come ogni sabato da inizio maggio ad oggi, una fiumana di gente ha riempito le strade del centro di Belgrado per protestare contro il governo e, soprattutto, contro il presidente Aleksandar Vucic. Una novità assoluta per la Serbia e un inedito per il rodatissimo politico, uomo di potere già nell’era Milosevic quando ricoprì, giovanissimo, l’incarico di ministro dell’Informazione durante la guerra del Kosovo. Dopo un intermezzo all’opposizione il cinquantatreenne leader del Partito Progressista Serbo, una formazione dai toni nazional-populisti, nel 2012 divenne vice primo ministro, nel 2014 primo ministro e nel 2017 venne eletto presidente della repubblica.

Riconfermato nell’aprile 2022 con il 59% dei voti, Vucic si è ritrovato presto in un mare di guai. Mentre la guerra in Ucraina continua a far traballare i complessi rapporti tra Serbia, tradizionalmente filo-russa, Unione europea e Stati Uniti con conseguenti, nonostante gli intermittenti investimenti cinesi, riverberi negativi sull’economia, a inizio maggio il Paese è stato sconvolto da due tragedie parallele. Il tre maggio un tredicenne uccideva in scuola elementare di Belgrado otto bimbi e un bidello, il giorno dopo un ventunenne assassinava a Mladenovac otto persone e ne feriva altre quattordici.

Un duplice bagno di sangue. Il tutto senza senso, senza un perché, senza una spiegazione razionale, comprensibile, minimamente accettabile. Follia pura sgorgata da decenni di esasperazione, di violenza diffusa, di messaggi sbagliati o mal interpretati e frutto avvelenato, tentiamo un’ipotesi, delle guerre inter-jugoslave. Dell’odio che ha spezzato l’artificiale creatura di Versailles 1919 resuscitata da Tito nel 1945. Tutti contro tutti. Ancora una volta la Balcania, con i suoi brindisi, i suoi balli, le sue inebrianti follie, i suoi lutti e le sue faide. Del resto “Kalasjikov” dell’incolpevole Goran Bregovic, è la canzone ad oggi ancora più gettonata ad est di Trieste. Ascoltare per credere.

Ma l’ammazzamento dei bimbi a Belgrado e la carneficina a Mladenovac ha fissato il tintinnio della classica goccia che fatto traboccare il classico vaso. La commozione si è subito trasformata in rabbia e decine di migliaia di persone da allora scendono in piazza nella capitale e nelle altre città per reclamare e protestare per chiedere un’inversione di rotta, culturale e forse politica.

Vucic ha cercato di correre ai ripari chiedendo, all’indomani delle mattanze, un disarmo di massa con la consegna volontaria, senza alcuna conseguenza penale, di tutte le armi detenute illegalmente. Un problema non da poco, la Serbia è infatti al primo posto in Europa per numero di armi possedute legalmente ogni cento abitanti, figuriamoci quante sono quelle non dichiarate. Non a caso — sebbene, almeno secondo i dati del governo, sono state raccolte circa 100mila fra armi da fuoco e ordigni esplosivi e 4 milioni di munizioni — la campagna, inizialmente prevista dall’otto maggio all’8 giugno, è stata prorogata sino al 30 giugno. Poi scatteranno severe misure di legge.

Provvedimenti che però non hanno convinto parte dell’opinione pubblica — soprattutto belgradese, nelle campagne il consenso a Vucic è ancora consistente— e tanto meno le opposizioni di destra e di sinistra che stanno cavalcando in modo disordinato e caotico la protesta cercando d’indirizzarla contro il presidente e i suoi più diretti collaboratori, il ministro degli Interni Bata Gasic e il capo dei servizi segreti.

Poi, ciliegina sulla torta, il 26 maggio è riesplosa la crisi del Kosovo, una ferita sempre aperta per i serbi, e il presidente ha subito rilanciato la sua sfida a Pristina. Una mossa obbligata per rianimare una volta di più lo spirito nazionalista dei suoi compatrioti e mettere la sordina alle proteste nella capitale. Su queste coordinate Vucic ha rinunciato alla segreteria del suo partito affidandolo a Milos Vucevic, attuale ministro della Difesa, e ha annunciato un radicale restyling. Sulle ceneri del Partito Progressista Serbo dovrebbe nascere un nuovo movimento con cui affrontare eventuali elezioni anticipate e, magari, sbaragliare una volta per tutte le opposizioni. Il disarmo totale può attendere….

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.