La giornata del 5 maggio 2022 è passata alla storia per l’Irlanda del Nord. Nel quarantunesimo anniversario della morte di Bobby Sands nel grande sciopero della fame condotto dai detenuti dell’Irish Republican Army (Ira) secessionista contro il governo britannico di Margareth Thatcher per la prima volta le formazioni favorevoli al distacco dell’Ulster hanno ottenuto un numero di seggi maggiore di quelli degli unionisti alle elezioni locali.
La vittoria del Sinn Fein fa la storia
All’Assemblea nordirlandese, rinnovata per la settima volta dagli Accordi del Venerdì Santo del 1998, la maggioranza relativa è andata alla Sinistra nazionalista del Sinn Fein, esponente della componente cattolica e secessionista, favorevole al ricongiungimento con le contee della Repubblica d’Irlanda. I verdi del Sinn Fein hanno ottenuto il 29% dei voti e 27 seggi su 90.
La mossa, in congiunzione con le altre dinamiche in via di sdoganamento tra Regno Unito e Irlanda, è un crocevia per il Paese. Dal 5 maggio l’Ulster è virtualmente bloccato in uno stallo istituzionale per il fatto che il Democratic Unionist Party (Dup), secondo con il 21,3% e 25 seggi, non vuole dare il via libera all’accordo di unità nazionale che consentirebbe a Michelle O’Neil, la leader del Sinn Fein, di diventare First Minister nel quadro del sistema di divisione dei poteri. L’Irlanda del Nord è per legge guidata da un governo di coabitazione tra unionisti e nazionalisti, con la poltrona di First Minister garantita al primo partito classificato e quella di vice al meglio piazzato dei partiti di orientamento opposto.
Il problema dell’Ulster si riaccende
Il Dup sta facendo ostruzionismo. E il motivo è legato anche al legame tra l’Irlanda del Nord e la questione britannica. Brucia ancora per gli unionisti irlandesi il percepito “tradimento” di Boris Johnson, che nel concludere l’accordo sulla Brexit ha accettato la possibilità che ai confini marittimi tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna si collocasse la frontiera doganale che si voleva evitare via terra in forma interna all’isola celtica. Portando, di fatto, un pezzo del Regno Unito a restare nell’unione doganale e i controllli delle autorità comunitarie a valere su una zona del Paese soggetta alla sovranità di Londra.
Jeffrey Donaldson, leader del Dup, ha chiesto al Regno Unito un’azione decisiva e, poco prima di cadere, l’esecutivo guidato da Johnson ha messo in campo diverse proposte di legge per depotenziare il potere di influenza delle autorità Ue sull’Irlanda del Nord. Vedendo la dura reazione comunitaria, che accusa Londra di violazione del diritto internazionale, senza però scaldare gli animi dell’ex alleato di governo irlandese del Partito Conservatore britannico, che sui voti del Dup si è retto a Westemeinster dal 2017 al 2019.
Il trinceramento del Dup è stato tanto radicale che anche Liz Truss, ministro degli Esteri di Johnson, ha avvertito gli unionisti di “darci un taglio” e sbloccare la situazione in Irlanda del Nord. Ma il timore atavico degli unionisti per la possibilità che la vittoria del Sinn Fein possa far “venire il nostro giorno”, per usare la celebre espressione di Bobby Sands, spinge a tensioni sempre più forti.

Come cambia l’Irlanda del Nord
Come per molte parti del Regno Unito, il 2016 è stato un anno cruciale per l’Irlanda del Nord, in cui la parte britannica dell’isola ha votato a maggioranza a favore del Remain nel contesto del referendum sulla Brexit (55,78% contro 44,22% di favorevoli al Leave). Ebbene, in quest’ottica il Sinn Fein è stato indubbiamente in grado di cooptare a suo favore lo scontento popolare di parte della popolazione, soprattutto nel capoluogo Belfast, per il timore di un distacco economico e sociale dal resto dell’Isola. In particolare, lo Sinn Fein, complice l’appoggio esterno del Dup al governo Conservatore tra il 2017 e il 2019, ha usato anche l’arma della lotta all’austerità contro i suoi avversari e partner forzati di governo. Il Dup è stato presentato come il partito che ha messo a repentaglio la sicurezza sociale del nordirlandesi, ha approvato l’errore della Brexit e, soprattutto, ha tenuto a lungo in vita un governo di Londra considerato ostile all’Ulster.
La pandemia ha fatto il resto dato che sull’Irlanda del Nord si è abbattuta la scure della recessione e solo a fine 2021 sono stati riconfermati i livelli di Pil dell’ultimo trimestre pre-pandemico del 2019, mentre a maggio l’occupazione nella regione era ancora sotto la fine dell’ultimo anno di normalità. I cattolici nordirlandesi si sono anche avvantaggiati della crescita del Sinn Fein della Repubblica d’Irlanda a primo partito in termini di voti e maggior forza di opposizione agli esecutivi centristi e liberali di Dublino.
Il Sinn Fein in guerra contro l’austerità
Da una parte e l’altra del confine, lo Sinn Fein ha fatto squadra, ha riformulato la sua retorica sull’unificazione per commercializzarla positivamente ai moderati sia del Nord che del Sud. “Irlanda degli eguali” è il nuovo motto del partito guidato dalle due donne-simbolo, Michelle O’Neill e MaryLou McDonald, che studiano rispettivamente da First Minister e premier irlandese. La forza dello Sinn Fein è stata quella di portare assieme alla causa nazionalista una faglia che nell’Irlanda più contemporanea e in particolar modo nell’Ulster non era di fatto esistita in forma intensa: la divisione destra-sinistra.
Lo Sinn Fein in vista del voto per il 5 maggio, nota il Foreign Policy Research Institute, si è focalizzato sul fatto che “la Brexit, il Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno devastato l’economia irlandese su entrambi i lati del confine. Così, nelle elezioni di Stormont, il partito si è saggiamente concentrato sulla lotta alla crisi del costo della vita e sulla sistemazione del “servizio sanitario” riducendo i tempi di attesa negli ospedali”, esigenze concrete saldate contro la retorica liberale e pro-mercato. Il partito si è “impegnato a investire oltre 1 miliardo di sterline nell’assistenza sanitaria e 300 milioni per lottare contro il caro vita”. Tutto questo rassomiglia quanto fatto oltre il confine, dato che nella Repubblica d’Irlanda i membri del Sinn Fein “si sono battuti per un salario dignitoso, per la riduzione dei prezzi degli affitti, per il sostegno ai diritti di contrattazione collettiva sindacale e per l’impegno ad aumentare i pagamenti dell’assistenza sociale”.
Il Dup è stato colpito dalla difficoltà di contrapporre un’agenda trasversale di ampio respiro a questa pressione politica, e lo stesso rischia di accadere alle formazioni centriste che a Dublino sostengono il premier Leo Varadkar. E così dal 2016, anno del centenario dell’insurrezione che aprì la strada all’indipendenza irlandese dall’Impero britannico, la formazione ha perso terreno perché identificatasi con le politiche conservatrici, la Brexit e le loro temute conseguenze.
Il futuro e il ruolo degli Usa
Quale futuro, dunque, per l’Irlanda del Nord? Andrew Gamble, politologo dell’Università di Cambridge, ha scritto su Domino che i temi caldi dei prossimi anni potrebbero essere lo sviluppo dei trend in atto: da un lato, la saldatura tra i due rami dello Sinn Fein su un discorso comune, nazionalista moderato, di sinistra e anti-austeritario, che al Nord ritengono in grado di vendere l’unificazione come veicolo migliore per la prosperità dell’Irlanda del Nord. Dall’altro, la rottura dell’intesa cordiale tra il Dup e i Conservatori britannici, che dura dal XIX secolo.
In entrambi i casi, si parla di prospettive capaci di influenzare gli scenari internazionali. Lo Sinn Fein dell’Irlanda repubblicana è sicuramente molto più cauto della sua filiale settentrionale sull’unificazione a breve termine, dato che deve rompere il cordone sanitario di Fianna Fael e Finn Gael, il “grande centro” dell’Eire, nei suoi confronti, mentre la rottura Tory-Dup sul protocollo nordirlandese può avere la conseguenza di radicalizzare ulteriormente gli unionisti nella loro fuoriuscita di fatto dagli Accordi del Venerdì Santo. Per i quali ora il governo toccherebbe ai cattolici e che sono la base di una convivenza che ha posto fine a una guerra civile a bassa intensità e che più volte, negli ultimi anni, ha dato segno di non essersi del tutto spenta. Se lo stallo dovesse continuare, Londra potrebbe invocare il governo diretto sull’Irlanda del Nord scavalcando il Good Friday del 1998. In quel caso, l’Irlanda del Nord esploderebbe come già accaduto tra 2013 e 2020 con diversi casi di proteste e scontri tra unionisti e nazionalisti.
“C’è il silenzio dei cimiteri in quelle zone, rumoroso e carico di dolore. Una zona di guerra senza vera pace ma solo quiete. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant“, scriveva Leonardo Palma su Geopolitica.info raccontando la Belfast divisa e in tensione dei giorni del ventesimo anniversario degli Accordi del Venerdì Santo. La tensione a Belfast e dintorni è a più riprese tornata alta e così sarà in futuro. Tanto che tra i garanti della pace nella regione sono intervenuti addirittura gli Stati Uniti. Il cui presidente, Joe Biden, è un cattolico di origine irlandese che più volte ha espresso la sua visione favorevole al Good Friday. Biden e la Presidente della Camera Nancy Pelosi hanno messo in guardia il Dup e il Regno Unito dalla tentazione di minare l’accordo del Venerdì Santo e organizzazioni come l’American Brexit Committee hanno apertamente condannato la gestione britannica dell’Irlanda del Nord. Nel frattempo, oltre Atlantico nella comunità americana di origine irlandese la causa del Sinn Fein ottiene crescente simpatia. E tra Dublino e Belfast sono certi che in molti sarebbero pronti ad ammiccare ai nazionalisti qualora salissero al potere. In fin dei conti, nella loro intenzione l’Irlanda del Nord targata Sinn Fein vorrebbe dimostrare che la possibilità di staccarsi dalla corona di Londra è possibile. Come Washington ha dimostrato essere possibile già nel XVIII secolo.