A Barcellona si vive un clima da resa dei conti: uscendo dall’aeroporto El Prat della metropoli mediterranea, gli striscioni e le scritte lungo l’autostrada che un tempo accoglievano la scritta ‘Catalunya is not Spain’ adesso sono stati sostituiti da ‘Ara o mai’, letteralmente ‘Adesso o mai più’. La maggior parte dei catalani infatti, sostiene che il momento storico cruciale più importante di sempre per ottenere l’indipendenza dalla Spagna è proprio questo: la crisi economica prima, adesso quella politica, stanno spingendo popolazione ed autorità catalane a premere sull’acceleratore per il distacco definitivo da Madrid. Sembra una vera e propria corsa contro il tempo: Rajoy non riesce a formare alcun governo da quasi un anno, a dicembre l’intero paese potrebbe tornare alle urne per la terza volta in dieci mesi, con uno Stato centrale mai così debole dalla caduta del franchismo la ‘Generalitat’ ha fretta di chiudere i conti e sfruttare questo periodo così propizio per le velleità secessioniste. Una prova di forza importante in tal senso, è stata data lo scorso 11 settembre che se al mondo ricorda una data tragica per via degli attentati alle torri gemelle, per i catalani quella è invece da più di 300 anni la ‘Diada’ della sconfitta, il giorno in cui nel 1714 Barcellona cadde nelle mani di Filippo V perdendo per sempre l’indipendenza; ogni anno l’11 settembre la Catalogna ricorda questa data, da qualche anno a questa parte le strade del capoluogo però in questa circostanza sono diventate sempre più frequentate e la ricorrenza sempre più sentita. Dal palco di Plaza Catalunya, il presidente Carles Puigdemont, quest’anno non ha usato mezzi termini: “E’ l’ultima Diada, è l’ultima volta che ricordiamo la perdita dell’indipendenza, perché dal prossimo anno torneremo ad essere indipendenti”. Tutti i partiti della coalizione indipendentista concordano infatti su un punto: si deve arrivare il più in fretta possibile alla secessione, entro e non oltre l’estate del 2017. Il parlamento catalano a luglio ha votato una mozione che impegna il governo di Barcellona a fissare una data per un referendum vincolante entro la prossima bella stagione; l’esecutivo di Puigdemont si dice pronto a fissare una data oppure, in alternativa, a concordare con Madrid una exit strategy per una sorta di ‘divorzio consensuale’. Ma ovviamente dalla capitale spagnola, di addio alla Catalogna non se ne vuole sentire neppure parlare; più volte governo e Corte Costituzionale hanno dichiarato illegittimi eventuali referendum, sia consultivi che vincolanti: secondo la Giurisprudenza spagnola, non esistono margini giuridici che giustifichino l’induzione di un referendum per l’indipendenza, ogni tentativo verrà giudicato come illegale, tanto che Carme Forcadell, il presidente del parlamento regionale che ha indetto la votazione di luglio sulla consultazione secessionista, rischia un’incriminazione per ‘disobbedienza’. Si va quindi dritti ad un ennesimo braccio di ferro tra Madrid e Barcellona, questa volta però con un bilanciamento di forze diverso rispetto al passato: le istituzioni centrali spagnole infatti, vivono momenti molto delicati e, come detto, il nuovo governo non riesce a formarsi da quasi dodici mesi, al contempo invece a Barcellona (complice la crisi economica) l’appoggio popolare all’indipendenza sembra essere molto più elevato di anni passati ed il fronte secessionista appare solido seppur formato da partiti di orientamento molto diverso l’uno dall’altro. Da considerare anche il ruolo dell’Unione Europea; se prima Bruxelles appoggiava senza se e senza ma la posizione di Madrid, oggi le istituzioni comunitarie appaiono meno rigide e poggiano sul sentimento europeista dei principali partiti catalani. Anche se la stessa commissione europea non perde occasione per ricordare come, in caso di indipendenza, Barcellona sarebbe fuori dall’UE e per rientrare dovrebbe attuare lo stesso procedimento di adesione riservato a tutti gli altri Stati che negli anni sono entrati nel ‘club’ comunitario, in ogni caso però da Bruxelles si inizia a vivere con meno preoccupazione l’ipotesi che la Catalogna riesca nell’intento di staccarsi dalla Spagna. Ma la situazione comunque, non è molto fluida e lineare come invece pronosticato dal presidente della Generalitat in occasione della Diada; le incognite restano tante e non riguardano solo le ferree opposizioni che farà Madrid nei prossimi mesi: la coalizione indipendentista, come accennato in precedenza, risulta essere molto eterogenea e quindi è alta la possibilità che essa possa spaccarsi come già stava accadendo poco dopo le elezioni regionali dello scorso anno, quando l’accordo per l’elezione di Puigdemont è stato raggiunto a suo tempo soltanto nell’ultimo momento utile per evitare consultazioni anticipate; la popolazione catalana, seppur dimostri di avere a cuore la secessione, potrebbe però diffidare dal diventare un piccolo Stato a se stante preferendo invece di continuare ad essere la più importante regione industriale di una grande nazione come la Spagna; infine, la stessa classe imprenditoriale potrebbe vedere nel distacco da Madrid un’autentica minaccia visto che Barcellona diventerebbe capitale di una piccola Repubblica iberica e non più il secondo centro culturale ed economico della quarta economia dell’Eurozona. Giusto per fare un esempio, nelle scorse settimane a far perdere punti percentuali ai secessionisti è stata la dichiarazione dell’UEFA secondo cui il Barcellona non potrebbe giocare nella Liga spagnola ma in un apposito (e meno appetibile) campionato catalano; questa affermazione del massimo organo calcistico continentale, ha dato a molti l’impressione che la forza odierna dalla Catalogna derivi dall’essere un’importante forza regionale interna alla Spagna. Secondo molti analisti poi, gli stessi partiti della coalizione indipendentista non crederebbero a reali chance di secessione della Catalogna ed essa verrebbe propagandata soltanto per fini elettorali e per indebolire ulteriormente lo Stato spagnolo, al cui interno altre realtà nazionali potrebbero tornare nuovamente a manifestare velleità separatiste (come nei casi dei Paesi Baschi o della Galizia). L’unica cosa certa al momento, è che qualunque sia il percorso che intraprenderà la Catalogna esso sarà deciso nei prossimi mesi; da un lato, emergono molte spinte secessioniste come mai prima d’ora ed esse risultano unite alla crisi dello stato centrale spagnolo, dall’altro lato aumenta però anche lo scetticismo circa la reale fattibilità dell’indipendenza: ‘Ara o mai’, entro la prossima estate Barcellona scoprirà se essa diventerà una nuova capitale europea oppure se continuerà ad essere la seconda città per importanza in Spagna, duellando (non solo calcisticamente) con Madrid.
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