Si chiamava Robert Gerard Sands. Ma per tutti era Bobby, Bobby Sands. Un ragazzo come tanti, cresciuto in una Belfast difficile e piena di odio. Nato il 9 marzo del 1954, ad Abbots Cross, sobborgo settentrionale della città nordirlandese, fu costretto a trasferirsi diverse volte, a causa delle constanti intimidazioni subite dai lealisti. Nel 1972, proprio per queste minacce continue, venne obbligato ad abbandonare anche il lavoro.“In quel periodo la comunità repubblica non aveva un futuro”, mi ha spiegato un ex combattente dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) che ha conosciuto Bobby Sands. “Non avevamo possibilità di lavorare e dunque di vivere. L’unica risposta che potevamo dare ai continui soprusi era quella d’imbracciare un fucile e combattere”. Questa motivazione mi viene data anche da molti altri ex volontari che ho incontrato negli anni durante i miei viaggi in Irlanda del Nord. “Arruolarsi nell’IRA – mi hanno ripetuto tutti – era l’unico modo per combattere gli oppressori inglesi e le ingiustizie di cui eravamo quotidianamente vittime”. È proprio in questo contesto che anche Bobby Sands entrò a far parte dell’IRA, nelle fila dell’ala Provisional, la componente nazionalista maggioritaria dei repubblicani armati, che in quegli anni aveva molti contrasti con l’ala minoritaria marxista degli Officials.
Bobby Sands diventò membro del primo battaglione della Belfast Brigade, una delle unità più numerose che si occupavano di controllare e difendere le zone di Andersonstown, Lenadoon, Turf Lodge e la parte alta di Falls Road. Come tanti suoi compagni d’armi, entrò e uscì di prigione, fino a quando, nel settembre del 1977 – rifiutando di riconoscere la corte – fu condannato a quattordici anni di reclusione per detenzione di arma da fuoco, ma la sua voglia di combattere per la libertà del popolo irlandese non si fermò.
Dentro i blocchi H della prigione di Long Kesh, infatti, assieme agli altri combattenti repubblicani detenuti, iniziò una serie di proteste per richiedere lo status di prigioniero politico, abolito da Londra nel 1976. I repubblicani, quindi, erano diventati dei semplici delinquenti comuni. Non accettando questo stravolgimento della loro identità, come prima protesta decisero di rifiutare la divisa. Era la blanket protest: i detenuti repubblicani iniziarono a indossare solo le coperte, e questo era solo l’inizio. Nel 1978 i prigionieri cominciarono a spalmare i propri escrementi sui muri delle celle e a buttare l’urina sotto le porte. Il governo britannico, tuttavia, sembrava indifferente e non era disposto a trattare. Bobby Sands, con altri militanti dell’IRA, decise allora d’iniziare uno sciopero della fame. Questa scelta, tanto drastica quanto determinata, lo portò a morire il 5 maggio del 1981, dopo 66 giorni di agonia. Successivamente, altri nove giovani morirono nel corso del più grande sciopero della fame della storia d’Europa.
Nelle pagine di Un giorno della mia vita, diario scritto da Bobby Sands in carcere, troviamo racconti incredibili che ci fanno immedesimare in quello che lui e tutti i combattenti irlandesi stavano subendo: barbarie atroci, soprusi, intimidazioni e torture. Ma Bobby Sands, nonostante il peso dell’angoscia e della sofferenza, conclude il suo racconto con un grido di speranza: “Se non sono in grado di uccidere il tuo desiderio di libertà, non potranno spezzarti. Non mi spezzeranno perché il desiderio di libertà, e della libertà della popolazione irlandese, è nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutta la gente d’Irlanda potrà mostrare il suo desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna”.Trentacinque anni dopo quell’atto sacrificale, inciso col sangue dei martiri, ci arriva l’esempio di sacrificio e di lotta per la libertà. Un esempio ripreso ancora oggi da molti altri popoli oppressi. Senza differenza di credo politico o di fede religiosa.