Barcellona torna a vivere una giornata di proteste. Il primo ministro Pedro Sanchez ha voluto tenere un Consiglio dei ministri a Barcellona. Per i secessionisti catalani una provocazione, a tal punto che molti gruppi più radicali hanno deciso di bloccare le strade della città come gesto di rifiuto nei confronti della scelta dell’esecutivo. Una scelta ritenuta provocatoria anche perché la  data coincide con il primo anniversario delle elezioni svolte l’anno scorso in Catalogna, dopo l’applicazione dell’articolo 155. L’articolo della Costituzione con cui Madrid ha sospeso parzialmente l’autonomia della comunità in seguito al referendum sull’indipendenza.

Le proteste hanno coinvolto il centro del capoluogo catalano con i Mossos d’Esquadra costretti a intervenire per fermare i blocchi delle strade e mantenere l’ordine pubblico. A fine giornata, le persone arrestate sono state 12. 51 i feriti, fra cui 30 poliziotti. Un numero impressionante che dimostra la violenza con cui gli indipendentisti si sono scontrati con le forze dell’ordine catalane. Più di 20 strade sono state bloccate dai membri dei Comitati di azione diretta per la Difesa della Repubblica (Cdr) per tagliare gli accessi a Barcellona. Decine di manifestanti, invece, si sono seduti sull’autostrada AP 7 lungo la costa mediterranea. Alcuni avevano addosso giubbotti fluorescenti. C’è chi crede fosse un riferimento ai gilet gialli francesi, ma è anche vero che il giallo è il colore simbolo della secessione catalana.

Convocate dal Cdr il giorno dopo che Sanchez e Quim Torra hanno deciso di trovare un accordo per una “proposta politica di ampio sostegno” per la crisi catalana, le proteste si sono immediatamente rivelate molto dure. Gli indipendentisti non hanno perdonato allo Stato centrale la scelta della linea dura nei confronti dei secessionisti. E nonostante la volontà di Sanchez di mostrarsi molto più disponibile verso le richieste catalane rispetto al suo predecessore, Mariano Rajoy, gli indipendentisti non hanno mantenuto un profilo basso, scegliendo invece la via delle manifestazioni violente.

Il risultato del consiglio dei ministri tenuto nella città di Barcellona è ancora ovviamente tutto da dimostrare. Gli indipendentisti della parte più moderata notano con favore l’apertura del governo guidato dal Partito socialista. Ma ci sono ancora molti nodi da sciogliere, fra i quali il prossimo pronunciamento del Tribunale supremo sui leader secessionisti che hanno indetto e guidato il referendum dichiarato incostituzionale tenuto lo scorso anno. L’accusa di sedizione e l’eventuale condanna della guida dei partiti indipendentisti pende come una spada di Damocle sui rapporti fra Madrid e Barcellona.

Rapporti che nel tempo sembrano essersi rasserenatati soltanto in maniera superficiale. L’idea è che ci si trovi di fronte a una sfida che va ben al di là del singolo esecutivo che controlla la Spagna. La lotta degli autonomisti viaggia su un binario a lungo termine. E il governo guidato da Sanchez sembra essere sempre più in crisi. Le prossime elezioni potrebbero dare come risultato un governo sicuramente spostato a destra e con un baricentro molto meno aperto e disponibile nei confronti delle comunità autonome. Lo hanno dimostrato anche i recenti messaggi di Pablo Casado, leader del Partito popolare, e di Albert Rivera, guida di Ciudadanos. Ma è soprattutto l’ascesa di Vox, il partito più a destra e più nazionalista di tutta la Spagna, a manifestare un quadro politico che potrebbe riaprire lo scontro con la Catalogna. 

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