Dall’aprile del 2016 l’Ue è sotto il ricatto della Turchia sulla questione migratoria, con Bruxelles che pur di vedere la rotta balcanica chiusa e ridimensionata (dopo il furore pro accoglienza dei mesi precedenti manifestato soprattutto dal governo tedesco) decide di sottostare alle pretese di Erdogan. Tre miliardi di Euro all’anno in cambio del trattenimento in Turchia dei profughi, specialmente di quelli siriani in fuga dalla guerra. Adesso l’accordo sembra saltare: Ankara, come contro ritorsione delle sanzioni imposte dall’Ue per la questione dei giacimenti a largo di Cipro, appare intenzionata a sospendere l’intesa con Bruxelles.
L’annuncio del ministro degli esteri
Che la Turchia faccia sul serio questa volta, con la reale intenzione di giocare tutte le armi a sua disposizione nella questione migratoria, lo si intuisce anche perché ad intervenire sulla questione è lo stesso ministro degli esteri, Mevlut Cavusoglu: “Siamo pronti a sospendere l’accordo con l’Ue sui migranti – dichiara il titolare della diplomazia turca – L’Europa non ha rispettato i patti”. Pochi giorni prima, nel corso di una conferenza stampa presso l’ambasciata di Ankara a Roma, l’ambasciatore turco Murat Salim Esenli dà un inedito appoggio all’Italia sulla vicenda immigrazione lasciando intendere l’insofferenza del suo governo per il comportamento di Bruxelles: “Capiamo l’Italia, anche noi veniamo spesso lasciati soli – dichiara Esenli – Ad esempio, noi denunciamo come Bruxelles non tiene fede a tutti gli impegni assunti dagli accordi del 2016″.
Espliciti segnali dunque di come la Turchia già da settimane sia pronta a strappare le intese con l’Ue. Come detto in precedenza, sullo sfondo emerge lo scontro che in questi giorni sta interessando Ankara con i paesi vicini e non solo per la questione degli idrocarburi ciprioti. I giacimenti, a largo dell’isola del Mediterraneo orientale, sono rivendicati anche dalla Repubblica di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia e stanziata nella parte occupata dai turchi nel 1974. Per tal motivo il governo del presidente Erdogan negli ultimi mesi invia fino a quattro navi militari nella zona per iniziare opere di esplorazione propedeutiche anche alle perforazioni dei giacimenti. Un’attività che preoccupa il governo greco – cipriota, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale come rappresentante dell’isola. Ma la questione interessa ovviamente anche l’Ue, di cui Cipro fa parte dal 2004. Da qui uno scontro che, adesso, coinvolge anche la questione migratoria con la Turchia che usa l’arma dei profughi verso l’Europa per mandare avanti le proprie pretese.
I primi siriani già rispediti indietro
Ed il governo di Ankara, quasi a voler ribadire ulteriormente le sue intenzioni, inizia a far percorre a diversi siriani il percorso inverso a quello fatto tra il 2015 ed il 2016. Così come scritto su Libero, Human Rights Watch accusa la Turchia di aver spedito già diversi siriani oltre confine. In un rapporto del 26 luglio scorso in particolare, l’organizzazione per i diritti umani sostiene che centinaia di famiglie sono adesso accampate lungo il confine, in alcuni casi il governo di Ankara avrebbe anche costretto a far firmare a diversi profughi l’attestazione della propria volontà di tornare in Siria. Ma sempre secondo Human Rights Watch, in realtà molti migranti vengono portati ad Idlib e dunque nell’unica provincia siriana dove ancora insiste la guerra.
Dal canto suo il governo turco sostiene che, al contrario, i migranti assiepati nuovamente al confine o rientrati in Siria sono in realtà irregolari rintracciati ad Istanbul e nelle grandi città turche negli ultimi giorni, a seguito di un annunciato giro di vite contro la presenza di persone non regolarmente segnalate all’interno del territorio turco. A prescindere dalla dinamica della situazione sopra descritta, di certo c’è che Ankara si prepara a dire addio all’accordo sui migranti con l’Ue per continuare a sfidare poi la stessa Europa sul piano dello sfruttamento delle materie prime nel Mediterraneo. Una mossa, quella di Erdogan, che sembra avere due risvolti diametralmente opposti: da un lato fa pendere su Bruxelles lo spauracchio di una nuova ondata di migranti lungo la rotta balcanica, dall’altro però toglie dal piatto una potenziale arma che per tre anni ha reso l’Europa ricattabile.