Il confine tra Sudan e Libia è uno dei più impervi dell’intero continente africano. E, contestualmente, anche uno dei meno controllabili. Non ci sono grandi centri da una parte e dall’altra, solo piccole oasi lontane dai circuiti infrastrutturali dei rispettivi Paesi. Per questo motivo la pressione migratoria qui è stata storicamente minore rispetto a quella rintracciabile lungo i confini tra Libia e Niger. La crisi scoppiata in Sudan però potrebbe radicalmente cambiare la situazione. In migliaia, tra le persone costrette alla fuga dai combattimenti in corso tra le forze Rsf di Dagalo e quelle regolari, potrebbero cercare di entrare in Libia per poi provare le traversate nel Mediterraneo. Una situazione che andrebbe a peggiorare l’attuale emergenza generata dall’aumento dei flussi migratori dal nord Africa.

L’attuale situazione tra Libia e Sudan

Il Sahara in Sudan copre quasi integralmente l’intera regione nord occidentale. Per trovare i primi importanti centri bisogna spingersi verso est, con le città affacciate sulla strada A1 che collega il confine egiziano con Khartum. I 380 km di frontiera con la Libia, sono letteralmente tracciati nel deserto proprio nell’area disabitata nord occidentale del Sudan. Raggiungere i posti di confine vuol dire allontanarsi dai centri abitati e percorrere le piste del Sahara per diverse centinaia di chilometri. Ma una volta arrivati in Libia si ha la medesima situazione: oltrepassata la frontiera, si raggiunge il cosiddetto triangolo di Serra, una porzione di deserto che gli inglesi hanno ceduto agli italiani nel 1934 all’epoca della Libia italiana.

Poche palme e poche case costituiscono la piccola oasi di Maatan as-Sarra, primo avamposto libico nel triangolo di Serra. Poi, subito dopo, occorre addentrarsi per 320 km verso nord per arrivare nel primo centro abitato vero e proprio, costituito dall’oasi di Kufra. Zone e regioni remote quindi, poco adatte ad ospitare continue carovane di migranti. A Kufra, come certificato negli anni da diversi osservatori, si parla poco di traffico di esseri umani. Questo però non vuol dire che tra Libia e Sudan non avvengano altre tipologie di traffici illeciti. A partire dal contrabbando di armi, particolarmente importante soprattutto per Mohammed Dagalo. Dal confine libico-sudanese sono transitati, in direzione della Cirenaica, i mercenari da lui guidati per aiutare le forze del generale Khalifa Haftar. Dal senso opposto, potrebbero passare uomini e mezzi che il generale libico potrebbe a sua volta inviare a Dagalo nella sua battaglia. Anche se quest’ultima circostanza è stata smentita dal diretto interessato.

Cosa potrebbe accadere con il conflitto

Se a Khartum e in tutte le altre principali città del Sudan la situazione dovesse precipitare, le piste desertiche che conducono al confine libico potrebbero improvvisamente animarsi. In tanti sarebbero invogliati a cercare riparo in Libia e da lì poi salpare alla volta dell’Italia. Se le forze Rsf di Dagalo dovessero perdere, molti affiliati alle milizie proverebbero a scappare per evitare ritorsioni. Stesso discorso riguarda gli appartenenti alle tribù arabofone di Dagalo. Lo spettro di scontri settari è infatti dietro l’angolo.

Ma a scappare sarebbero anche semplici civili. In Sudan con i combattimenti non stanno funzionando nemmeno gli aeroporti e, in un Paese dall’economia già in ginocchio, questo sta avendo l’effetto di aggravare la situazione umanitaria. I giorni di tregua, di cui si è parlato nelle scorse ore, risolverebbero ben poco: se il conflitto dovesse continuare, in tanti preferirebbero la via del deserto piuttosto che rimanere a casa.

C’è poi un altro aspetto da considerare: l’eventuale apertura della rotta libico-sudanese dell’immigrazione, verrebbe sfruttata anche negli anni successivi dalle organizzazioni criminali. Non solo in Sudan, ma anche in Etiopia e in Eritrea. Dal Corno d’Africa infatti l’emigrazione verso l’Europa è molto alta da tempo e verrebbe facilitata da un canale sudanese in grado di portare migliaia di persone lungo le coste libiche. In poche parole, sul fronte migratorio nei prossimi mesi potrebbe gravare un’altra grave crisi: quella sudanese.

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