Atene, 23 settembre 2019. In uno dei quartieri più centrali di Atene si sta svolgendo l’ennesima operazione di polizia. All’incirca 100 migranti sono stati trasferiti da quella che, per decenni, è stata una delle scuole storiche della capitale greca; e questo è solo un caso fra le molte operazioni simili che, in Grecia, vanno avanti da metà estate. Il governo greco, fresco d’elezione, sta tentando di ristabilire l’immagine di un’amministrazione capace di affrontare le criticità e di gestire in maniera adeguata la crisi di rifugiati senza precedenti sviluppatasi negli ultimi anni. Ma quanto è effettivamente realizzabile ed efficace il piano del governo? E la Grecia è davvero pronta – oppure, è disposta – ad attuare misure drastiche per far fronte a una situazione le cui conseguenze si ripercuotono non solo sul paese stesso, ma sulla totalità dell’Unione Europea?

Le radici del fenomeno e la questione sicurezza

Per la Grecia, la crisi dei rifugiati non rappresenta una sfida nuova. Per via di alcune mancanze nelle odierne infrastrutture, finora nessun governo greco è riuscito a gestire il fenomeno in maniera efficace, né ad implementare misure durevoli. Ad ogni modo, la situazione è drammaticamente peggiorata fra il 2015 e il 2019, durante il mandato di governo del partito di sinistra Syriza. Quest’ultimo, nell’affrontare il problema, aveva sfruttato l’applicazione di una strategia lassista malamente interpretata, coerentemente con i proclami fatti nelle fasi precedenti alle elezioni, che riducendo notevolmente le procedure di controllo in corrispondenza dei principali punti d’ingresso nel paese, ha facilitato lo sviluppo di un massiccio flusso migratorio attraverso i confini marittimi della Grecia. Pertanto, una percentuale significativa dei nuovi arrivi non è mai passata attraverso i dovuti controlli, al che è conseguito l’insorgere di timori in materia di sicurezza.

Di recente, mi è capitato di leggere un’analisi risalente al dicembre 2018 sulle ragioni per cui la popolazione greca è preoccupata da ciò che la crisi migratoria può significare per la sicurezza. Sebbene mi sia trovato d’accordo con l’approccio qualitativo adottato dall’autore, ritengo che alcune delle conclusioni risentano dell’omissione di parametri importanti. A partire dallo scenario che suppone un attacco terroristico in territorio greco, bisognerebbe tenere presente che il paese in questione funge da porta d’ingresso in Europa. Un ipotetico episodio di terrorismo in Grecia, perpetrato da sostenitori di ideologie radicali, costituirebbe un errore strategico da parte dei loro patrocinatori, che si ritroverebbero ad affrontare una struttura di sicurezza intranazionale rafforzata, a complicare l’accesso al paese europeo che costituisce lo sbocco verso le più grandi e importanti metropoli del continente, obiettivi ben più significativi per la rete terroristica. A riprova di ciò, bisogna ricordare che i terroristi coinvolti in alcuni degli attacchi di più alto profilo e dagli esiti più letali, ossia quelli di Parigi e di Bruxelles, erano entrati in Europa dalla Grecia o avevano visitato il paese almeno una volta.

Allo stesso modo, sebbene siano state destinate ingenti somme alle procedure di insediamento dei rifugiati tramite le autorità competenti sia dell’Unione europea che delle Nazioni Unite, ma anche attraverso altre importanti organizzazione internazionali fra cui diverse Ong, è dal 2015 che in Grecia perdura una situazione paradossale. In diverse aree all’interno dei centri urbani del paese, e soprattutto ad Atene, i migranti alloggiano da tempo in strutture del tutto inadeguate, che sono spesso proprietà private occupate senza l’autorizzazione dei legittimi proprietari. In questi casi l’assenza di controllo e di attività di monitoraggio ha generato timori non solo in merito alla sicurezza, ma anche riguardo alle condizioni di salute, considerando che i requisiti essenziali di igiene e prevenzione sono, in simili circostanze, del tutto inesistenti; per farsi un’idea più precisa della situazione, è sufficiente rivelare che nel caso dei raid effettuati recentemente dalla polizia, centinaia di persone sono state sorprese a vivere in spazi di pochi metri quadrati.

Dati e cifre

Per poter comprendere la portata della crisi e delle difficoltà che ciascun governo greco ha dovuto affrontare individualmente, esaminiamo il grafico sottostante:

Infografica di Alberto Bellotto
Infografica di Alberto Bellotto

È stata registrata un’impennata nel numero di richiedenti asilo a partire dal 2015, e il dato si ricollega all’enorme flusso di migranti e rifugiati osservabile da quell’anno in poi. Si resta tuttavia perplessi di fronte al fatto che le cifre, durante i primi anni del conflitto siriano, risultano inferiori. Vanno tenuti in considerazione alcuni fattori decisivi, quali l’azione all’epoca intrapresa dal governo della Repubblica della Macedonia del Nord per allentare le misure e le procedure di controllo dei migranti al loro ingresso nel Paese; o la sterzata nella linea di condotta della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che contestualmente allo sforzo per far fronte al problema della crisi migratoria suggerì che Berlino, nei confronti dei rifugiati siriani, avrebbe adottato una politica ben più aperta e amichevole. Tuttavia, l’elemento significativo sorprendentemente trascurato da molti fra coloro che hanno analizzato il fenomeno è il ruolo del governo greco eletto nel 2015. Come si è detto, il partito di sinistra vincente spingeva da tempo, in fase pre elettorale, per una politica d’accoglienza a frontiere aperte, circostanza che ha indotto migliaia di persone – molte delle quali non avrebbero mai potuto ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati – che in quel momento erano intrappolate in territorio turco o altrove a spostarsi verso la Grecia, in considerazione della sua funzione di punto d’accesso ai paesi dell’Europa centrale e settentrionale.

Ancora, in seguito ai contraccolpi politici subiti da numerosi governi europei in conseguenza dell’intensificarsi della crisi migratoria, i problemi per la Grecia si sono aggravati. Di fronte alle migliaia di persone che progettavano di fare il loro ingresso nei paesi più ricchi dell’UE e che invece si sono ritrovate a dove rimanere in Grecia, le infrastrutture esistenti si sono rivelate del tutto inadeguate. Ad esempio, Lesbo, isola greca che conta all’incirca 86,000 abitanti, situata nell’Egeo orientale in un punto piuttosto vicino al confine turco, è divenuta uno dei punti d’accesso più “affollati”. All’interno dell’isola si trova un enorme campo profughi dove risiedono tutti i migranti fino all’avvenuta elaborazione della loro domanda d’asilo; ma il flusso sproporzionatamente numeroso ha prodotto, alla fine, una situazione ingestibile e pericolosa per tutte le parti coinvolte, considerando che al momento più di 12,000 persone vivono in una struttura progettata per contenerne 3mila. Secondo gli ultimi aggiornamenti del rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, la capienza massima delle strutture messe in piedi per accogliere migranti e rifugiati sulle isole e sul territorio nazionale greco, nel contesto del programma di alloggio Estia, sta per raggiungere il tetto del 100%; e il progetto è in grado di accomodare solo una piccola parte di quanti si trovano attualmente nel Paese e stanno tentando di sistemarsi.

Un approccio concreto al problema o l’ennesima tribuna politica?

Il ministro greco per la Protezione dei cittadini, Michalis Chrysochoidis, ha recentemente dichiarato che delle 80mila persone che si trovano oggi nel Paese, più di metà dovrebbe fare ritorno in Turchia, dal momento che non possiedono i requisiti necessari a qualificarsi come richiedenti asilo; ciononostante, finora soltanto poco più del 2% è stato rimandato indietro. Proseguendo sulla stessa linea, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha parlato la settimana scorsa davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite, sollecitando a prendere coscienza del fatto che la Grecia non può più far fronte a questa situazione, data l’evidente l’inadeguatezza della capacità nazionale rispetto alla reale portata della crisi.

Il flusso senza precedenti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati che attraversa la Grecia dal 2015 ha causato un problema la cui gestione sembra impossibile. Mentre scrivo queste parole, tetre immagini del già citato campo profughi nella località di Moria dominano i media greci e quelli internazionali. Sono stati appiccati contemporaneamente due incendi, nella struttura interna del campo e in una piccola area boschiva poco lontana, e le autorità locali stanno ancora investigando le cause della catastrofe. Le forze di polizia e i pompieri che si sono precipitati sulla scena sono a malapena riusciti ad operare all’interno della struttura poiché, per diverse ore, le autorità ufficiali hanno perso il controllo della situazione e del campo stesso, al cui interno centinaia di migranti hanno scatenato una rivolta. Il drammatico esito di questa svolta violenta è stato la morte di una donna e il ferimento di altre 17 persone.

A quanto pare, fino ad oggi il governo non si è dimostrato capace di gestire efficacemente una realtà tanto complessa, sebbene le fonti governative stiano lottando per trasmettere un’immagine alternativa al pubblico greco. I fatti di domenica a Moria dimostrano che la situazione può, improvvisamente e inaspettatamente, sfuggire a qualsiasi controllo. In aggiunta, bisogna considerare il ruolo della Turchia; la crisi migratoria ha pesato notevolmente sulle spalle di Ankara nel corso degli ultimi anni. Allo stesso tempo, la Turchia ha la possibilità di sfruttare la crisi in qualunque momento, per fare leva sull’Ue all’interno delle controversie politiche. Nel caso in cui il governo turco decida di utilizzare la crisi dei rifugiati come mezzo per esercitare pressione sull’Europa, con frequenza e su larga scala, allora nemmeno gli scenari più pessimisti sarebbero in grado di prevedere quanto accadrà.