È un ricatto, perché di questo si tratta. Ed è per questo che l’Italia deve ascoltare le parole che giungono dalla Libia con la certezza che, in qualunque caso, siamo di fronte a una trattativa che si gioca sulla pelle dei migranti: l’ultima e forse unica arma negoziale dei governi nordafricani nei confronti dell’Europa.

Il gioco è sempre lo stesso. Uno schema fisso che si ripete da costa a costa, dalle sabbie della Libia a quelle del Marocco, dagli Stati del Sahel a quelli mediorientali. Paesi che non sanno come trattare da pari con le controparti. E che molto spesso trovano nei migranti un perfetto strumento contrattuale per ottenere qualcosa che le potenze europee non possono o non vogliono offrire. Soldi, in larga parte, ma anche alleanze, accordi politici, appoggi internazionali. Tutto questo passa attraverso un unico grande strumento di contrattazione: il rubinetto delle rotte migratorie.

L’ultimo esempio di questa trattativa ci arriva da Tripoli, dove il governo di Fayez al Sarraj, nostro alleato nella delicata crisi libica, ha lanciato un messaggio che ha dei risvolti potenzialmente disastrosi. Dopo l’attacco al centro migranti di Tajoura, probabilmente colpito da forze legate a Khalifa Haftar, il The Libya Observer ha fatto trapelare le parole del ministro dell’Interno del governo di Tripoli che sostenevano l’ipotesi di una liberazione dei migranti dai centri di detenzione per scopi umanitari. Troppo insicuri, quei luoghi, per i migranti in larga parte provenienti dall’Africa subsahariana. E per questo dal governo hanno fatto sapere che si sta ponderando l’ipotesi dell’apertura dei centri per evitare nuovi massacri a opera delle forse in campo nel lungo assedio di Tripoli.

Il problema tuttavia è che ci troviamo di fronte a un gioco tendenzialmente infinito. Il governo di accordo nazionale in Libia sa perfettamente di trovarsi in una posizione di debolezza endemico. Proprio per questo motivo, le potenze europee hanno deciso di guardare con più attenzione verso l’area della Cirenaica. È così, a Tripoli sono chiaramente convinti che per “piegare” gli europei ai propri interessi possano farlo solo attraverso l’utilizzo del ricatto. E, con un’Europa e soprattutto un’Italia concentrate mai come prima sul tema dell’immigrazione, mettere sul piatto delle trattative anche migliaia di irregolari è un problema di natura politico. E in questo senso, le parole del ministro dell’Interno libico, Fathi Bashagha, sono state limpide: “Ha confermato che il Governo di accordo nazionale è tenuto a proteggere tutti i civili, ma il fatto che vengano presi di mira i centri di accoglienza da aerei F16 e la mancanza di una protezione aerea per i migranti clandestini – spiega la nota- sono “al di fuori della capacità del governo”.

A questo punto la risposta è chiara: Tripoli, così come Bengasi, Misurata, Sirte e altre città-Stato della Libia hanno scoperto che l’interesse verso l’immigrazione via Mediterraneo dei migranti rappresenta uno strumento perfetto per contrattazione ma anche come leva di altre potenze nei confronti di chi subisce il flusso migratorio. Il Marocco, ad esempio, sfrutta da anni questo metodo per ottenere appoggio da parte della Spagna o accordi più vantaggiosi con l’Unione europea in tema agricolo o del settore ittico o per l’accesso facilitato ai visti. Ma il Marocco non è la Libia: e se per Rabat è facile scendere a compromessi, per Tripoli e gli altri governi locali è anche interessante capire chi sia realmente interessato a questa crisi.

Un dato però è certo: di fatto i Paesi nordafricani (e i loro rispettivi sponsor internazionali) hanno trovato  la più facile delle armi. E l’Europa, intesa come Unione europea e come Vecchi continente, attualmente non ha una soluzione. E per questo motivo rimaniamo alla mercé marocchina, libica, ma anche a quella della Turchia, visto che per anni Recep Tayyip Erdogan ha preteso miliardi in cambio di arrestare il flusso di migranti dalla Siria e dal altre di conflitto in Medio Oriente. Una scelta che ha permesso ad Ankara di arricchirsi ma di dimostrare anche la totale incapacità dell’Ue di capire che di fronte a questo circuito a metà tra la truffa è il ricatto ci va di mezzo tutta la popolazione europea. E l’Italia sotto questo profilo è in prima linea: il caso Sea watch docet.

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