È un peccato che l’ultimo rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), intitolato Global Trends 2016 sia stato poco discusso e ancor meno analizzato. Perché in esso troviamo materia per capire qualcosa di più del mondo in cui viviamo e dei pasticci in cui ci troviamo.LEGGI ANCHE: Dadaab, la radio che ferma i migrantiGlobal Trends, in sintesi, ci dice questo: il numero dei profughi, cioè di coloro che hanno dovuto abbandonare le proprie case e i luoghi della loro vita a causa di emergenze umanitarie e violenze di ogni genere, nel 2015 ha raggiunto il punto massimo di tutti i tempi: 65,3 milioni di persone, tra le quali 21,3 milioni di rifugiati (ovvero i profughi che hanno ottenuto una protezione internazionale). Questi ultimi sono per il 51% minori, cioè ragazzi sotto i 18 anni d’età.Detto in altre parole, succede questo: ogni minuto, durante il 2015, nel mondo, 24 persone hanno perso tutto e sono dovute scappare per salvarsi la vita. Nel 2014 succedeva a 4 persone al minuto. Così il numero dei profughi cresce in modo esponenziale: 42,5 milioni nel 2011, 59,5 milioni nel 2014, appunto 65,3 milioni nel 2015. Rispetto alla popolazione mondiale (7,4 miliardi), una peraona su 113 è un profugo.Bill O’Keefe, vicepresidente del Catholic Relief Services, la grande organizzazione cattolica di assistenza ai profughi, ha commentato dicendo: “Il sistema dell’assistenza sta fallendo i suoi scopi perché ci stiamo riducendo a correre da una crisi all’altra. Il sistema ha urgente bisogno di una riforma ma la spinta politica verso questa riforma è inesistente”.LEGGI ANCHE: Chi sono i nuovi migranti in AmericaInesistente (e questo lo diciamo noi, non O’Keefe) forse non per caso. Se si analizzano i dati del Global Trends 2016 si nota subito che i tre Paesi al mondo che hanno “prodotto” più rifugiati sono Siria (4,9 milioni di rifugiati), Afghanistan (2,7 milioni) e Somalia (1,1 milioni). Siria (con 6,6 milioni) e Iraq (4,4 milioni) sono anche due dei Paesi in testa alla classifica dei profughi interni (primatista assoluta è la Colombia, 6,9 milioni), cioè le persone che hanno dovuto fuggire ma non sono uscite dai confini del Paese.La morale della favola è chiara. Ovunque abbiamo messo le mani con i nostri interventi più o meno armati per “esportare la democrazia”, “aiutare le rivoluzioni” e così via, abbiamo prodotto un disastro politico e umanitario. Non sarebbe il caso di smetterla?Tanto più che, una volta che il disastro si è prodotto, ci mostriamo quasi totalmente incapaci di gestirne le conseguenze. Sul tema dell’immigrazione l’Unione Europea è andata in mille pezzi. E quando si tratta di passare al famoso “aiutiamoli a casa loro” non è che le cose vadano molto meglio.In questi giorni si combatte a Mosul (Iraq) e le Nazioni Unite prevedono un incremento dei profughi da 200 mila a 1 milione di persone, secondo come andranno i combattimenti. Ebbene, i fondi destinati all’emergenza irachena per il 2016 sono stati raccolti solo al 58%, perché i Paesi più ricchi hanno il braccino corto. A cominciare dagli Usa, primi responsabili dell’invasione del 2003, che avevano promesso 284 milioni di dollari e si sono fermati alla metà. Anche se per le guerre in Iraq e Afghanistan finiranno con lo spendere, secondo i calcoli dell’Università di Harvard, tra i 4 e i 6 mila miliardi di dollari. Anche se tenere un solo marine in Afghanistan per un anno, pur se fermo in caserma senza sparare un colpo, costa la bellezza di 4 milioni di dollari.
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