La crisi del grano, l’instabilità in Nord Africa e il mare calmo rischiano di innescare una bomba migratoria nel cuore del Mediterraneo. E i numeri degli arrivi in Italia nel 2022 raccontano che le rotte stanno cambiando. Il primo Paese di partenza è la Libia, ma aumentano i viaggi della speranza dall’est del Paese dominato dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica noto in Italia per aver sequestrato i pescatori di Mazara del Vallo. Dopo c’è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il presidente-sultano che fa il bello il cattivo tempo anche nella Libia occidentale: sono infatti i turchi, e non gli europei, ad addestrare i guardiacoste libici. Sul gradino più basso del podio, al terzo posto nella classifica degli imbarchi clandestini verso l’Italia, c’è un Paese arabo sull’orlo del default che necessita con urgenza di un maxi-prestito da 4 miliardi del Fondo monetario internazionale: la Tunisia.
Sbarchi in aumento
I dati degli sbarchi sono in aumento ma sotto la soglia di allarme. Circa 25 mila migranti sono giunti in Italia via mare da inizio anno, in netta crescita rispetto ai 19 mila arrivi dello stesso periodo del 2021. Siamo lontani dai circa 170-180 mila arrivi annui del 2014-17. Sarebbe però imprudente sottovalutare una crescita di oltre il 30 per cento nel mezzo di una crisi alimentare che deve ancora far sentire i suoi effetti. Senza considerare che partire da più lontano significa utilizzare imbarcazioni molto più capienti dei gommoni mezzi sgonfi “Made in China”. Così i trafficanti ammassano fino a 300-400 persone alla volta e aumenta il rischio di replicare la tragedia di Lampedusa che il 3 ottobre 2013 causò almeno 368 morti. “Bisognerebbe spostare l’attenzione su quella che è la vera emergenza, quella umanitaria: i 724 migranti morti nel Mediterraneo Centrale nel 2022 e gli abusi, le violenze e le violazioni di diritti umani che i migranti continuano a subire in Libia”, ha detto a Insideover Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) a Roma.
Più arrivi da Egitto e Afghanistan
Secondo i numeri del Viminale aggiornati alle 8 del mattino del 21 giugno, almeno 24.744 migranti sono sbarcati in Italia via mare dall’inizio del 2022. Spiccano, in particolare, gli arrivi ad aprile (3.929) e maggio (8.720), in deciso aumento rispetto ai rispettivi mesi dei due anni precedenti. Le statistiche del ministero dell’Interno italiano pongono sorprendentemente gli egiziani (4.017) al secondo posto nella classifica delle nazionalità dichiarate al momento dello sbarco in Italia, dopo i bengalesi (4.120) ma davanti a tunisini (3.352), afgani (2.629), siriani (1.494), ivoriani (967), iraniani (679), guineani (655), eritrei (646) e sudanesi (693). “Da notare che la rotta orientale vede soprattutto la presenza di afgani, che ormai sono la quarta nazionalità di arrivo”, aggiunge Di Giacomo. Una delle tante, drammatiche conseguenze del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. E invece l’Egitto? Molti vanno in Libia per poi cercare di fare la traversata. Ma storicamente la Libia non è mai stata un punto di partenza per gli egiziani. Allora che succede nel Paese del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi?
Rischio carestia
“La preoccupazione al momento non è tanto per i flussi, ma è per la gente che rischia di non poter avere accesso al cibo”, aggiunge Di Giacomo. La verità è che la grave crisi alimentare che si sta ripercuotendo su molti Paesi del Mediterraneo e dell’Africa a seguito del conflitto russo-ucraino rischia di usare causare pesanti conseguenze in termini di tensioni sociali, di stabilità delle istituzioni di quei Paesi e, in ultima analisi, di flussi migratori. Egitto, Tunisia, Libano, Iraq, Algeria, Libia: tutti stanno prendendo contromisure per evitare nuove proteste suon di “pane, lavoro e dignità”, come fu agli albori della primavera araba del 2010-11. “L’incremento dei prezzi del grano e la possibile difficoltà di erogare servizi essenziali a favore della popolazione rischiano di accrescere ulteriormente le tensioni sociali, con evidenti ripercussioni per l’Italia e per l’Europa, anche sotto il profilo migratorio”, ha ammesso la viceministra degli Esteri, Marina Sereni, in un’audizione alla commissione Affari della Camera dello scorso 14 giugno.
I paesi più esposti
In un’intervista all’Agenzia Nova, Eugenio Dacrema, analista economico del Programma alimentare mondiale (World Food Programme, Wfp), aveva lanciato già a marzo l’allarme sull’esposizione dei Paesi Mena alle importazioni di materie prime alimentari, soprattutto cereali, da Ucraina e Russia. “Egitto e Turchia sono gli esempi più rilevanti in termini di numeri assoluti, anche a causa delle loro grandi popolazioni. Congiuntamente importano circa 17,2 milioni di tonnellate all’anno di grano”, aveva affermato Dacrema, senza dimenticare anche nazioni più piccole “come Yemen (che importa il 22 per cento del fabbisogno di grano dall’Ucraina) Libia, Giordania, Algeria, Libano (che arriva ad importare oltre il 50 per cento del grano dall’Ucraina) e Tunisia (42 per cento)”. In Siria, secondo il Wfp, dodici milioni di persone (oltre la metà della popolazione) si trovano in condizioni di insicurezza alimentare acuta.
La storia si ripete
Per decenni, l’accesso ai generi alimentari sovvenzionati ha fatto la differenza tra la stabilità autoritaria e il caos in Medio Oriente. Nel 1977, il tentativo (fallito) del presidente egiziano Anwar Sadat di tagliare i sussidi per il pane fomentò rivolte popolari che provocarono 171 morti e centinaia di feriti. Nel 1983-84 fu il presidente tunisino Habib Bourguiba ad affrontare rivolte per il pane dopo aver eliminato i sussidi su grano e semola. L’aumento dei prezzi delle materie prime (causato all’epoca da Stati Uniti e Canada) contribuì allo scoppio delle proteste in Tunisia nel 2008-2009 e al rovesciamento del presidente Zine El Abidine Ben Ali nel 2011. Un decennio dopo, nel 2018-19, la rimozione dei sussidi per il pane in Sudan contribuì a far ripartire la rivolta popolare che portò alla deposizione del presidente Omar al Bashir. Ora la storia sembra ripetersi con la guerra in Ucraina. Ecco perché l’Italia dovrebbe prestare particolare attenzione a una nuova, possibile ondata migratoria non solo da est (135 mila persone in fuga dall’Ucraina sono già arrivate nel nostro Paese dal 24 febbraio) ma anche da sud.