A Lampedusa da qualche ora tira vento e il mare a malapena permette la partenza delle navi di collegamento con Porto Empedocle. “Vanno così via gli ultimi turisti – commenta su InsideOver un albergatore – ma almeno possiamo aspettarci una tregua sul fronte degli sbarchi”. Il meteo forse darà una mano in questi giorni al governo e l’arrivo del vero autunno nel canale di Sicilia eviterà di giungere in tempi brevi a quota centomila migranti sbarcati.
In Libia però il vento politico non promette in futuro nulla di buono. Nei giorni scorsi l’Oim, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha parlato di almeno 688mila migranti presenti nel Paese nordafricano. Una cifra cresciuta rispetto a inizio anno, quando invece il numero si fermava a 621mila. In tanti sono entrati dal Niger negli ultimi mesi, altri invece dall’Egitto.
Non tutti sono pronti a partire. Anzi, di questi forse “solo” il 10% sta aspettando il proprio turno per salpare. Tra i quasi 700.000 conteggiati dall’Oim, ci sono soprattutto i migranti giunti in Libia durante l’era di Gheddafi, quando il Paese nordafricano non era solo hub per le partenze verso l’Italia ma anche meta per coloro che cercavano lavoro nei tanti progetti edilizi di Tripoli. Ad ogni modo però, l’instabilità libica impone di non dormire sonni tranquilli. Il rischio è che nel 2023 possa essere peggiore dell’anno in corso.
I migranti presenti nei centri di detenzione in Tripolitania
La maggior parte degli stranieri in Libia si trovano nell’ovest del Paese. E non è un caso che siano stanziati proprio qui i trafficanti più pericolosi. Del resto dalle coste della Tripolitania la distanza con l’Italia è minore che da altre regioni libiche. E, soprattutto, dalla caduta di Gheddafi la regione attorno la capitale non ha mai più conosciuto una stabile autorità statale. Anche adesso ci sono più governo a contendersi il potere. C’è quello del misuratino Abdul Hamid Ddeibah, riconosciuto a livello internazionale, che doveva cedere lo scettro nel dicembre scorso all’esecutivo nato da elezioni mai tenute. E poi c’è quello dell’altro misuratino, Fathi Bashaga, eletto dal parlamento di Tobruck. Le milizie a sostegno di Bashaga ad agosto hanno provato a entrare a Tripoli, provocando nuovi scontri ma alla fine Ddeibah ha conservato una parvenza di leadership.
A preoccupare non è soltanto lo scontro tra governi, ma quello tra milizie. Ogni cittadina ha la sua banda armata, ogni quartiere di Tripoli ha il suo gruppo che ha il reale controllo del territorio. Ed è in questo contesto che i trafficanti riescono a fare affari. A volte si trasformano, a seconda delle evenienze, in guardiacoste. Emblematico è il caso di Bija, considerato tra i più potenti trafficanti della Tripolitania e apparso negli anni scorsi con la divisa della marina libica. Una commistione che ben espone l’attuale situazione in Libia.
Tra chi vuole partire verso l’Italia ci sono soprattutto coloro che sono risaliti dal sud del Paese, entrando dal Niger e dal Sahel. Aspettano mesi nei centri gestiti dai trafficanti, dove sono note le vessazioni e le violenze praticante all’interno delle strutture. Non va meglio a chi è rinchiuso nei centri ufficiali, quelli governativi. Non essendoci un vero governo, anche questi centri sono in mano alle milizie. Chi c’è entrato, ha descritto situazioni molto gravi. L’Oim ha avuto accesso negli anni passati e ufficialmente parla di 2.700 migranti all’interno delle strutture.
L’impressione è che l’attuale stallo nelle trattative politiche per future elezioni e gli attuali scontri politici e militari, possano dare ulteriore via libera ai trafficanti. Ai principali responsabili dell’aumento dei flussi migratori, pronti a lucrare sul loro macabro business. E se anche il 10% dei quasi 700.000 migranti segnalati in Libia sono realmente pronti a partire, nei prossimi mesi la situazione può soltanto peggiorare.
Il ritorno di Haftar
L’Italia nelle ultime settimane, sul fronte libico, ha dovuto guardarsi anche su un altro fronte. Quello della Cirenaica. Qui sembrava tutto risolto o quasi. Il territorio nell’est della Libia è dal 2014 controllato dal generale Haftar con il suo Libyan National Army (Lna). Il pugno di ferro dell’uomo forte della Cirenaica ha sempre contribuito a mettere a bada i trafficanti operanti da Bengasi e da Tobruck. E invece adesso alcuni barconi recentemente sbarcati in Italia sono partiti proprio dalle coste controllate da Haftar.
La regione italiana a essere interessata al flusso dalla Cirenaica non è la Sicilia, bensì la Calabria. Nel crotonese da agosto in poi sono stati contati diversi barconi approdati. Si tratta di pescherecci molto grandi, capaci di tirare a bordo almeno 500 migranti. Maxi sbarchi quindi, in grado di peggiorare la situazione migratoria nel nostro Paese.
Sul perché adesso si parte anche dalla Cirenaica la risposta è da ricercare nelle volontà di Haftar. Il generale, dopo aver fallito nel 2019 l’assalto su Tripoli, è stato messo ai margini del contesto libico. Ma controlla ancora l’est e poco o nulla passa da questa regione senza l’assenso del suo Lna. Chiaro quindi come anche Haftar voglia lanciare verso l’Italia l’arma dei migranti. Un’arma usata già a ovest e che il generale ora spera di poter giocare per i propri scopi.
Nelle ultime ore proprio da Bengasi sembrerebbero emergere delle novità. In particolare, il Direttorato per la sicurezza della città ha reso noto che cinque persone legate al traffico di esseri umani verso l’Italia sono state arrestate. Si tratterebbe di un libico, due sudanesi e due bengalesi. Tutti e cinque sarebbero dietro le partenze verso le coste calabresi, con viaggi della speranza pagati dai migranti fino a 1.400 Euro. Un segnale forse o forse un reale cambio di rotta da parte di Haftar. Certo è che Roma deve in ogni caso guardare con molta attenzione a cosa accade in questo angolo di Libia.