La guerra in Ucraina ha portato con sé in dote un altro gravoso problema per la comunità internazionale. Quello cioè di una potenziale crisi alimentare. Il Paese è uno dei più grandi granai del mondo. Le pianure fertili e un clima più mite rispetto a latitudini più settentrionali, hanno storicamente fatto dell’Ucraina un serbatoio di grano e derrate alimentari. Prima del conflitto in media ogni anno nelle campagne ucraine venivano prodotte quantità di grano sette volte superiore al fabbisogno interno. Tutto il resto, specialmente negli ultimi decenni, è servito per fornire generi di prima necessità in regioni delicate, quali il nord Africa e il medio oriente. Nei giorni scorsi a Istanbul è stato firmato un accordo tra le parti, mediato dall’Onu, per permettere nuovamente l’export del grano e far uscire le navi dai porti. Un patto i cui effetti però potrebbero vedersi solo fra alcuni mesi. Nel frattempo il mondo sta continuando a tremare: senza pane e farina, molti Paesi del terzo mondo potrebbero collassare. Generando, a sua volta, imponenti flussi migratori. Ma su quest’ultimo fronte qual è la situazione?
Un pericolo ancora “potenziale”
L’immigrazione nel Mediterraneo nell’anno in corso è in deciso aumento. Soltanto in Italia nel 2022 si parla di un trend del +30% rispetto ai primi sette mesi del 2021. Si parte soprattutto dalle coste nordafricane e da quelle anatoliche, lì dove cioè si concentrano le persone che arrivano dal medio oriente e dall’Afghanistan per poi intraprendere le traversate verso la Grecia, Cipro e l’Italia. Tuttavia è ancora difficile parlare di una forte incidenza della crisi alimentare sugli attuali flussi. Al contrario, il trend riscontrato in questi mesi non è così diverso da quello già osservato negli anni precedenti.
Dopo la grande crisi migratoria riscontrata tra il 2015 e il 2017, generata dalle avanzate dell’Isis tra Siria e Iraq e da un atteggiamento “superficiale” della Turchia di Erdogan nel controllo delle coste e dei confini, i numeri sono tornati a essere gestibili. Dal 2019 in poi è ripreso un certo incremento. Lieve questa volta, ma costante. Dunque la “fotografia” del fenomeno migratorio scattata dai vari dati resi noti dal Viminale e da Frontex negli ultimi mesi, è in piena sintonia con quanto visto in anni più recenti.
Questo non vuol dire che la carenza di materie prime nei Paesi del terzo mondo non costituisca un problema. Anzi, potenzialmente rischia di essere la goccia in grado di far traboccare il vaso nella gestione del fenomeno migratorio in Italia e nel resto d’Europa. Ma, per l’appunto, la crisi alimentare è ancora un problema potenziale e, come tale, risolvibile se affrontata in tempo. Non ha prodotto sconquassi in termini di partenze di migranti e di sbarchi. Potrebbe farlo nei prossimi mesi.
Quando la crisi alimentare potrà ritenersi responsabile dei flussi migratori
Una nuova crisi che si affaccia sul panorama internazionale non è di per sé fautrice di nuovi sbarchi. Un automatismo del genere può essere vero solo in caso di guerra: se un Paese attraversa un conflitto, è lecito aspettarsi una fuga di migliaia di persone da quel territorio. Diversamente, gli effetti di una crisi economica o sociale genera effetti sull’immigrazione nel medio e lungo periodo. Un esempio arriva dall’Afghanistan. I talebani hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021, ma è soltanto in questo anno che l’Italia e l’Europa stanno subendo l’onda lunga dell’emigrazione di migliaia di afghani verso occidente. Questo perché in tanti hanno deciso di partire dopo alcuni mesi, altri hanno affrontato tante settimane di viaggio per giungere lungo le coste anatoliche.
La carenza di pane e farina e il vertiginoso aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, non stanno portando a un automatico esodo dai Paesi più a rischio. Ma, in prospettiva, potrebbero generare tutti quegli effetti capaci, nel giro di alcuni mesi o anni, di provocare gravi crisi migratorie. Potrebbero cioè comportare proteste di massa, scontri di piazza, cadute di governi e interi apparati statali, elementi potenzialmente in grado di far scappare migliaia di famiglie verso l’Europa. Un altro esempio in tal senso arriva dalla primavera araba del 2011. Anche in quel caso tutto è partito dall’aumento dei prezzi di farina e pane, ma l’ondata migratoria del 2011 e del 2012 è stata generata dalla successiva sollevazione popolare e dall’innesco di guerre e rivolte in tutto l’arco nordafricano e mediorientale.
Se alcuni Paesi dovessero patire a lungo la fame e la carenza di grano, allora il rischio concreto e fondato è quello di vedere un collasso economico e sociale tale da generare imponenti flussi migratori. Da qui un’attenzione importante, da parte dell’occidente, verso lo sblocco dell’export ucraino e di un ritorno a livelli accettabili dell’acquisto di generi di prima necessità da parte dei Paesi più esposti alla crisi alimentare.
I Paesi più a rischio
Come detto, le aree del mondo maggiormente esposte a una potenziale crisi alimentare sono quelle nordafricane e del medio oriente. A queste occorre aggiungere poi il corno d’Africa, già alle prese con atavici problemi legati alla povertà e alla penuria di cibo, così come alcuni Paesi asiatici. Si tratta, in generale, di nazioni del terzo mondo in cui lo spettro di una crisi alimentare è accentuato da situazioni interne economiche e sociali già piuttosto precarie.
Il Paese che più potrebbe interessare l’Italia in tal senso è la Tunisia. Qui l’economia è ferma da tempo, il Covid ha ulteriormente peggiorato la situazione e nei mesi scorsi a Tunisi come in alcune regioni remote sono stati osservati primi disordini ricollegabili all’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità. Molte famiglie sono rimaste senza scorte di farina, tante altre devono dipendere dai sussidi per poter avere il pane quotidianamente. Considerando l’attuale delicata fase politica, contraddistinta da un “golpe bianco” del presidente Kais Saied e dalle procedure di modifica della costituzione sorta nel 2012, un ulteriore peggioramento della situazione potrebbe provocare nuove conseguenze e spingere verso l’Italia sempre più migranti.
Più stabile politicamente, almeno apparentemente, ma esposto a una crisi alimentare molto seria è l’Egitto. Il Paese dipende in buona parte del grano ucraino e il governo del presidente Al Sisi sta cercando di muoversi velocemente per ammortizzare i primi gravi effetti dell’aumento dei prezzi del pane e della farina. Diversamente, specialmente nelle grandi città le tensioni sociali potrebbero diventare potenzialmente esplosive. In Libano invece la crisi c’è già dal 2019, mentre dall’esplosione del porto di Beirut dell’agosto 2020 il Paese dei credi ha poi avuto frequenti problemi nel rifornirsi di grano. Dunque, qui la crisi alimentare potrebbe già in un lasso di tempo più breve favorire importanti flussi migratori.
Fuori dall’area mediterranea, la crisi alimentare potrebbe far sentire i suoi deleteri effetti in Somalia, Paese da tempo provato da lunghi periodi di instabilità politica. Eritrea ed Etiopia, nella zona del corno d’Africa, non sembrano immuni dai problemi legati alla mancanza di grano. Stesso discorso in Asia vale per lo Yemen, Paese che ha già sperimentato gravi carestie negli ultimi anni a causa della guerra civile iniziata nel 2015, per il Bangladesh e per lo Sri Lanka. Qui pochi giorni fa il governo è collassato sull’onda di una imponente protesta popolare.