Non ci sarà alcuna redistribuzione obbligatoria dei migranti, né durante il semestre di presidenza svedese e probabilmente nemmeno in futuro. Il governo di Stoccolma ha ribadito a chiare lettere uno dei concetti più dibattuti degli ultimi anni sul fronte migratorio. E lo ha fatto dopo una altrettanto chiara presa di posizione della Polonia, il cui governo è da sempre contrario al ricollocamento migratorio. Quanto comunicato dalla presidenza di turno svedese dell’Ue non ha rappresentato certo una novità. Ma ha dato modo di capire quelli che sono gli orientamenti politici in vista del possibile nuovo piano europeo sui migranti.

La presa di posizione di Varsavia

Sono giorni intensi sul fronte migratorio. E non soltanto per i numeri relativi agli sbarchi e agli ingressi in Italia e in altri Paesi Ue. In ballo c’è la bozza del nuovo piano europeo. La Svezia, presidente di turno fino a luglio, vorrebbe arrivare a chiudere il proprio semestre con un documento pronto e in grado di essere poi girato a parlamento e commissione per la discussione finale. Sarebbe un passo molto importante: anche se infatti la norma, se tutto va bene, sarà approvata soltanto nel 2024, far partire l’iter finale per l’approvazione entro l’estate potrebbe rappresentare un segnale politico non indifferente.

Per questo sono in corso delicate contrattazioni. In questo contesto, a sparigliare le carte ieri c’ha pensato il ministro dell’Interno polacco, Mariusz Kaminski. Poche parole, ma nette le sue: “Non c’è e non ci sarà alcun consenso al trasferimento forzato dei migranti in Polonia”.

Una dichiarazione sorprendente. Non tanto per i contenuti, quanto per la tempistica: nessuno infatti in Europa ha parlato nelle ultime settimane dell’introduzione del ricollocamento obbligatorio dei migranti. Questa carta Bruxelles già da tempo ha rinunciato a giocarla. L’ultima volta che il principio del ricollocamento dei migranti è stato tirato in ballo, risale al 2021. In quei mesi infatti si discuteva di come aiutare i Paesi di primo approdo, ma i governi dell’est Europa hanno subito fatto fronte comune: nessuno, tra i Paesi Visegrad (con l’aggiunta anche dell’Austria e di alcuni governi del nord Europa), vuole accollarsi quote obbligatorie di migranti. Varsavia quindi ha ribadito la propria posizione. Ma perché farlo adesso, quando nessuno ha tirato nuovamente fuori la questione?

Le dichiarazioni della Svezia

La risposta alla domanda precedente va forse cercata proprio nelle contrattazioni in corso. A confermarlo sono state all’Ansa alcune fonti diplomatiche comunitarie. La Polonia ha messo le mani avanti per una precisa strategia negoziale: niente ricollocamenti obbligatori, niente possibili aperture in tal senso di Varsavia. E l’improvviso no polacco è destinato ad avere un certo peso nell’attuale fase di contrattazione. Una fase che sta andando avanti in queste ore: Stoccolma, presidente di turno dell’Ue, sta provando a trovare una sintesi per portare un documenti sul tavolo del Consiglio degli Affari Interni dei 27 previsto per il prossimo 8 giugno.

Per questo il governo svedese ha ribadito la linea, rispondendo a distanza al ministro dell’Interno polacco. “Voglio essere chiara – ha dichiarato a stretto giro di posta il ministro svedese per le migrazioni, Maria Stenergard – la redistribuzione obbligatoria non era, non è e non sarà presente nella proposta. I Paesi di primo ingresso vanno sostenuti nell’importante lavoro di gestione delle frontiere esterne. La ricollocazione obbligatoria è fuori discussione”. Un po’ come dire, per l’appunto, che la precisazione svedese nata dalla sollecitazione di Varsavia è quasi superflua. “L’intervento della Svezia – ha scritto poco dopo su Twitter il commissario Ue agli Affari Interni, Ylva Johansson – è stato importante e tempestivo”.

Cosa cambia per l’Italia

Il governo di Roma aveva già messo in conto di non poter ottenere il ricollocamento obbligatorio. Del resto, da quando si è insediato l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, l’Italia si è più concentrata su punto del dossier migratorio. Quali ad esempio, su tutte, le politiche comunitarie di rimpatrio. Ad ogni modo, la fuga in avanti di Varsavia e le precisazioni della presidenza di turno, hanno ricordato quanto sottile sia l’equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Ed è su quest’ultimo punto che Roma proverà a far passare la propria linea in fase di contrattazione. Recepita l’impossibilità di un ricollocamento obbligatorio, il governo italiano vorrà comunque precisi impegni sulla solidarietà da accordare alle istituzioni della penisola. Non è escluso che, tra i meandri della bozza che la Svezia si sta impegnando a far approvare, possa trovare spazio il termine redistribuzione. Ma solo se accompagnato dal principio della volontarietà, senza quindi rendere la misura obbligatoria.

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