Per l’Europa è sinonimo di un flusso migratorio fuori controllo. Per la Cina è invece una regione ricca di opportunità, altamente strategica per controllare le rotte commerciali del Mar Mediterraneo, nonché ottima calamita per attrarre investimenti nel sempre più ambito settore green e delle energie rinnovabili. Basta guardare il Mena (Middle East and North Africa), o meglio ancora il Maghreb, da una prospettiva diversa e scopriamo una regione completamente diversa.
In realtà, quelle descritte non sono altro che due facce della stessa medaglia. Se, da un lato, le aziende cinesi individuano qui le aree adatte nelle quali far partire interessanti progetti economici, in alcuni casi anche attraverso partnership, dall’altro le potenze occidentali, un tempo attrici protagoniste delle e nelle politiche locali, non riescono più a capitalizzare i retaggi della loro presenza coloniale.
I due processi vanno ormai avanti da anni seguendo linee parallele: mentre Pechino propone, instaura collaborazioni e si mostra pronta ad ascoltare le esigenze dei governi africani, gli europei hanno smesso di scommettere sull’Africa, salvo poi rendersi conto del grave errore geopolitico commesso, e accorgersi che adesso le praterie dell’Africa. ll sono occupate da nuovi player. Dalla Cina alla Russia passando per la Turchia, nel nuovo mosaico africano la presenza europea è ridotta al lumicino.
E poco importa, come fanno notare numerosi analisti, se le relazioni instaurate tra la Cina e i vari governi africani molto spesso assoggettano questi ultimi al Dragone. A conti fatti, chi non può contare sulle minime infrastrutture socio-economiche preferisce aprire le porte a chi, come i cinesi, è pronto a offrire aiuti concreti senza chiedere in cambio riforme, che non a chi, come gli attori occidentali, fa spesso dipendere il sostegno a richieste di aperture democratiche. E poco importa anche se il male minore, per i governi africani, coincide con la perdita parziale di indipendenza geopolitica.
Perché la Cina guarda al Nord Africa
Dicevamo della Cina in Nord Africa. La notizia più recente della presenza del Dragone a queste latitudini coincide con la partnership stretta in Marocco tra il produttore cinese di composti al litio Sichuan Yahua Industrial Group Co. Ltd. e la sudcoreana LG Energy Solution Ltd (LGES). L’obiettivo delle due aziende: produrre materiali al litio esportabili nei mercati americani ed europei.
Da quanto emerso, Lges ha infatti firmato un accordo preliminare con Yahua per produrre idrossido di litio da impiegare per le batterie dei veicoli elettrici. Ma perché puntare proprio sul Marocco? L’accordo consentirà a Cina e Corea del Sud di bypassare il Critical Raw Materials Act, una legislazione sulle catene di approvvigionamento dei minerali promossa dall’Unione Europea, e lo Us Inflation Reduction Act (Ira) statunitense, visto che Rabat ha accordi di libero scambio sia con gli Stati Uniti che con l’Ue. Detto altrimenti, Pechino potrà puntare sui principali mercati occidentali senza timori di alcun tipo.
Sempre nell’ambito automotive, la Cina ha opzionato anche l’Egitto, la cui industria automobilistica – grazie alla capacità di realizzare oltre 700.000 mezzi all’anno – è considerata la regina indiscussa della produzione di veicoli in Nord Africa. Nel 2021 la casa automobilistica cinese Dongfeng ha firmato un accordo quadro con la moribonda società statale egiziana El Nasr Automotive Manufacturing Company per la produzione congiunta di veicoli elettrici. L’intesa tra Dongfeng e Nasr, le cui strutture erano inattive da 11 anni, prevedeva che il 55% dei componenti dei veicoli fosse prodotto localmente: una vera e propria boccata d’ossigeno per l’economia del Cairo.
Possiamo citare, inoltre, il caso dell’Algeria, con la quale la Cina ha firmato, nel dicembre 2022, un piano esecutivo per lo sviluppo congiunto dell’iniziativa Belt and Road. Ricordiamo che la Cina è il principale esportatore in Algeria dal 2013, da quando Pechino ha rimpiazzato la Francia, che a sua volta aveva monopolizzato il commercio locale per decenni.
Il Dragone è ora il partner commerciale numero uno dell’Algeria, il “gigante addormentato” del Nord Africa, considerata la più grande economia della regione e un importante paese esportatore di gas e petrolio. In termini di dimensioni del mercato, l’Algeria detiene la decima riserva accertata di gas naturale a livello globale, è il sesto esportatore di gas al mondo e detiene le terze maggiori risorse di gas di scisto non sfruttate al mondo ed è membro dell’Opec.
In altre parole, la Cina punta tanto all’Africa subsahariana per l’estrazione di terre rare e minerali quanto al Maghreb e alla regione Mena per produrre risorse da impiegare nei settori green e/o da esportare in Occidente.
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Geopolitica e immigrazione
La regione Mena è attraversata da porti, ferrovie, autostrade, centrali elettriche, oleodotti, monumenti e persino intere città costruite o finanziate dalla Cina. Tutti i governi locali hanno sfruttato l’effetto agglomerazione, puntando su parchi industriali, porti e zone di libero scambio a guida cinese che, di fatto, collegano est e ovest, e cioè il Golfo Persico al Mar Mediterraneo.
Più che cemento e calcestruzzo, negli ultimi dieci anni Pechino ha gettato le basi per le infrastrutture e le tecnologie del futuro. La Cina ha formato una rete di “Vie della seta” che abbraccia più campi: i domini digitali e dei dati con reti di città intelligenti, cavi infibra ottica sottomarini, comunicazioni 4G e 5G, intelligenza artificiale (AI) e cloud e calcolo quantistico e altro ancora. Insomma, per molti versi, l’interesse della Cina nella regione Mena è di natura puramente economica: la regione svolge un ruolo importante nella BRI e Pechino fa affidamento sulle risorse energetiche del Medio Oriente. Essendo il paese più popoloso del mondo con la seconda economia più grande, il Dragone ha un enorme fabbisogno energetico.
Ma tutto questo quanto influisce sul miglioramento delle condizioni economiche locali? Detto altrimenti, gli investimenti cinesi in Africa contribuiscono a rallentare i flussi migratori, creando per i migranti condizioni di lavoro favorevoli in loco? In parte sì. Anche se, secondo il think tank Bruegel la Cina ha creato 1,78 posti di lavoro per ogni milione di dollari investito, ovvero il 20% in meno rispetto alla creazione media di posti di lavoro da parte degli investimenti cinesi all’estero.
Ciò è dovuto al fatto che la metà degli investimenti cinesi totali in Africa è andata nel settore immobiliare, un settore che crea pochissimi posti di lavoro. In ogni caso, il dinamismo di Pechino potrebbe in qualche modo porre un freno alle migrazioni di massa dal continente africano.
Restano tuttavia due nodi da sciogliere. Il primo: se la Cina continuerà ad espandersi in questo modo, l’Europa dovrà barattare la perdita del proprio spazio d’azione in Africa in cambio di una astratta rassicurazione in campo migratorio. Il secondo: grazie agli investimenti in Egitto, Marocco e Algeria, in futuro sempre meno egiziani, marocchini e algerini potrebbero scegliere di lasciare i loro Paesi. Ma niente potrebbe essere fatto per chi, provenendo da altre nazioni africane, dovesse scegliere di salpare dal Nord Africa per raggiungere l’Europa.