Il Belgio non è soltanto, come cantava Jacques Brel, un “paese piatto” ma è anche un paese strambo, molto strambo. Dallo scorso inverno il centro di Bruxelles si è trasformato in un penoso accampamento di “sans papier”, migliaia di disperati d’ogni etnia e religione che ogni notte cercano rifugio nelle le fermate dei bus e le uscite della metropolitana poiché le strutture d’accoglienza sono ormai strapiene e l’intero sistema gestito dall’Agenzia federale per le domande d’asilo (Fedasil) è al collasso. Un disastro pieno che ha costretto il traballante governo di coalizione guidato dal liberale Alexander De Croo a una brusca virata: da settembre vi saranno (almeno si spera) alloggi soltanto per famiglie, donne e minori. Porte chiuse invece ai migranti adulti, di sesso maschile e soli.
A fronte della decisione del governo centrale — ricordiamo che il Belgio è strutturato su una macchinosa architettura federale — la Wallonia, regione francofona storicamente a conduzione socialista, ha chiesto tramite lettera ufficiale al potere centrale di regolarizzare al più presto un numero importante (e non ancora definito) di richiedenti asilo e irregolari.
Il motivo questa volta non è filantropico e nemmeno buonista ma chiaramente e meramente economico. In Wallonia non solo non si trovano più lavoratori disposti ad impegnarsi in settori considerati poco attraenti come l’edilizia, la ristorazione, la siderurgia, la logistica ma manca anche personale qualificato per i settori amministrativi e per il comparto informatico. Non a caso l’appello del presidente Elio Di Rupo, figlio di immigrati italiani, è stato sottoscritto sia dai sindacati che dalle organizzazioni padronali.
La missiva dei valloni ha visibilmente imbarazzato il premier De Croo che ha chiesto tempo per riflettere e per rispondere. Il primo ministro infatti deve fare attenzione ai suoi alleati di governo, in particolare ai cristiano-democratici fiamminghi, una forza essenziale per la tenuta del governo, e alle ormai imminenti elezioni legislative. Un passaggio decisamente complicato. Da Anversa a Gand e a Bruges, l’elettorato guarda con crescente simpatia al Vlaams Belang (Interesse fiammingo), il partito nazionalista e indipendentista alleato della Lega e dei lepenisti francesi al Parlamento Europeo. Il tutto a scapito della destra moderata governativa a sua volta obbligata a rincorrere i concorrenti assumendo posizioni intransigenti sull’immigrazione e la sicurezza interna.
In più l’iniziativa lanciata da Di Rupo ha riaperto una volta di più l’annosa querelle linguistica tra le due comunità. Per quanto pragmatici, i laboriosi fiamminghi d’ogni orientamento politico non intendono pagare quella che all’unisono definiscono “la gestione disastrosa” dell’economia vallona e ricordano che prima di chiedere sanatorie per i migranti, il governo regionale francofono dovrebbe occuparsi dei problemi domestici. Drammatici. In Wallonia il tasso di disoccupazione raggiunge il 9,6% (con punte del 26% nel segmento giovani under 25) e oltre 156mila uomini e donne da lungo tempo godono di una munifica indennità che gli “scoraggia” a cercare una qualsiasi occupazione. Da qui, secondo la stampa economica belga, la paralisi dei processi di formazione e il mancato rinserimento di personale nel mondo della produzione.
Un meccanismo inceppato ma sempre funzionale all’assistenzialismo voluto e promosso negli anni dal locale partito socialista che, per piccoli calcoli elettorali, continua a rifiutare, come richiesto dai liberali, dalle destre e dagli imprenditori, sanzioni esemplari per chi rifiuta di frequentare i corsi di formazione o rifiuta pervicamente le offerte di lavoro. A sgobbare in Wallonia ci pensino gli ultimi arrivati…