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Guerre ibride il traffico di esseri umani e Stati che “ricattano” l’Europa minacciandoli di non controllare i flussi migratori. No, non è un discorso di un partito sovranista, ma i messaggi che arrivano in queste ore dai piani alti della Commissione europea. Frasi che confermano un cambio di passo da parte di Bruxelles, ormai convinta che la questione migratoria non sia semplicemente un dibattito interno all’Ue, ma un tema che va trattato in ambito comunitario e senza divergenze ideologiche.

Il punto non è la questione dell’accoglienza, ma il problema di capire come evitare uno dei nodi esistenziali di questa Unione europea: l’esternalizzazione dei problemi. Il confine non può essere una terra di nessuno in cui si attende che altri attori esterni all’Ue prendano in custodia milioni di persone chiedendo soldi per gestirli e chiedendone altri sotto la minaccia di “aprire i rubinetti”. Questi interruttori in mano a potenze esterne all’Unione sono potenziali micce in grado di innescare incendi politici che risalgono dalle coste del Mediterraneo fino al cuore dell’Europa centrale ed è un problema che adesso si sta materializzando anche al confine con la Bielorussia. Il meccanismo di accordi con i Paesi di confine non può essere l’unica soluzione in assenza di una politica Ue che esprima una linea univoca in grado di superare le volontà dei singoli Stati e soprattutto di imporre la propria linea su governi vicini.

Il tema è stato particolarmente sentito nelle più recenti crisi migratorie che hanno investito la parte meridionale dell’Europa. Prima nell’Egeo, con la Turchia che ha iniziato a ricevere miliardi dall’Europa per trattenere il fiume umano proveniente dalla Siria, ma che ha anche rappresentato di fatto una spada di Damocle continuamente pendente sul fianco sudorientale dell’Ue. E in particolare sulla Grecia. Stesso metodo è quello che ha caratterizzato il lato sud-occidentale dell’Ue, con l’arrivo in massa di migranti nell’enclave spagnole di Ceuta e Melilla in concomitanza delle tensioni tra Rabat e Madrid. E il problema è apparso anche in Libia, anche se l’assenza di un governo che sappia imporre la propria autorità su tutto il territorio ha di fatto moltiplicato le centrali di richiesta di denaro e sovvenzionamenti per evitare l’arrivo di richiedenti asilo e non in quell’esodo continuo dalle coste africane verso l’Italia.

 

Il fatto che ieri Ursula von der Leyen abbia parlato di una guerra ibrida con l’utilizzo dei migranti da parte della Bielorussia è quindi una scelta di parole da non sottovalutare. Specialmente se unite a quelle del vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, che alla rete greca ERT ha detto che “è stato dimostrato l’anno scorso a Evros, pochi mesi fa al confine ispano-marocchino, nella città spagnola di Ceuta, e poche settimane fa al confine bielorusso-lituano che nessun vicino, autoritario o meno, può ricattare l’Europa manipolando la sofferenza umana attraverso i flussi migratori”. Parole che danno un’immagine ben diversa rispetto agli anni precedenti e che conferma un cambiamento di registro, se non di narrazione. L’immigrazione incontrollata è considerata un problema di tutta l’Europa e gli accordi alle frontiere esterne con l’Ue dei patti che possono portare a ricatti.

Difficile dire se questo cambiamento di prospettiva sia legato a una presa di coscienza del problema o al fatto che gli Stati agiscano autonomamente disintegrando l’immagine dell’Ue come blocco unitario. La Grecia in questo senso ha già fatto intendere di voler dialogare con Erdogan pur mantenendo forti divergenze sul diritto. Sicuramente qualcosa è cambiato da quando anche Paesi governati dal centrosinistra hanno indicato il controllo delle rotte migratorie come un problema delle proprie agende politiche. Lo ha fatto l’insospettabile Pedro Sanchez in Spagna ma anche altri governi del Nord Europa. Inoltre Bruxelles percepisce anche il rischio di un nuovo potenziale esodo dall’Asia centrale e dall’Africa che colpirebbe un’Ue fortemente indebolita dalla crisi economica e sociale di questi ultimi due anni. La ripetizione di un fenomeno come quello dell’esplosione della rotta balcanica e lo scontro interno al continente è uno scenario che la Commissione Ue guarda con estremo timore anche semplicemente in chiave politico/elettorale.