Il nemico del mio nemico è pur sempre un amico. E se questo discorso vale per le “miserie” quotidiane, tanto più è valido per la strategia di un continente. Così, la Polonia guidata dal primo ministro Mateusz Morawiecki – quello che fino a qualche giorno fa era il peggior avversario interno dell’Unione europea – è tornata nel cuore dell’Europa. Trincea dell’Ue non tanto contro l’immigrazione incontrollata dalla Bielorussia, ma contro chi guida la Bielorussia, e cioè Aleksander Lukashenko.

La guerra ibrida

Per Bruxelles, il problema dell’arrivo dei migranti alle frontiere polacche è un atto di “guerra ibrida”. Non c’è un esodo incontrollato dato dalle contingenze economiche e politiche, ma una regia di Minsk per vendicarsi delle sanzioni europee. Varsavia passa addirittura oltre, con Morawiecki che nella riunione d’emergenza del parlamento polacco ha puntato dritto verso Vladimir Putin. Per il premier di Legge e Giustizia (PiS), Lukashenko potrà essere al limite “l’esecutore dell’ultimo attacco”, ma “il mandante è a Mosca”. Una lettura che in questo momento accontenta tutti e, come spiegato anche da Agi, sicuramente per Varsavia si rivela una boccata d’ossigeno. Ma è una boccata d’ossigeno che, allargando lo spettro, può servire soprattutto all’Europa per evitare di riflettere troppo su un problema che stava diventando impellente: la rotta intrapresa dal governo conservatore polacco.

La conferma arriva dalle mosse di queste ore della diplomazia europea. Innanzitutto si punta il dito contro la Bielorussia, ritenuta colpevole di avere scatenato una guerra ibrida sfruttando i flussi migratori. Accusa che per esempio non era mai stata accennata rispetto ad altri Stati in altri continenti, dove questa forma di pressione era stata solo sussurrata dagli osservatori. Per il fronte orientale, l’esodo di migranti non è mai stato considerato un problema di accoglienza, ma un atto di guerra. Ibrida, cioè combattuta con metodi non convenzionali, ma pur sempre guerra. E si sa che in un conflitto non si accettano divisioni né interpretazioni sui metodi utilizzati.

Solidarietà Ue verso la Polonia

Proprio per questo motivo, altro punto in favore di Varsavia è che tutti sono uniti nell’esprimere solidarietà al governo di Morawiecki. Nessun problema con militari al confine e filo spinato: se c’è una guerra, vale tutto. Anche se lo fa quel premier che fino a qualche giorno fa era considerato il simbolo dell’ultranazionalismo. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è atterrato a Varsavia per incontrare il primo ministro. Si è mosso addirittura il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che ha parlato con il presidente polacco, Andrzej Duda, ribadendo che Minsk “sta usando i migranti come tattica ibrida inaccettabile” esprimendo piena solidarietà al Paese. Ed è arrivato anche il pieno sostegno della Germania, che attraverso il ministro dell’Interno ad interim, Horst Seehofer, ha chiesto all’Ue di agire perché Varsavia e Berlino “non possono farcela da sole”. “Dobbiamo aiutare il governo polacco a proteggere il loro confine esterno. Questo sarebbe effettivamente il compito della Commissione europea. Ora li invito ad agire”, ha detto il ministro alla Bild. Sulla stessa linea la Francia, che ha accusato il regime di Lukashenko di voler destabilizzare l’Ue lasciando che i migranti si ammassino ai confini con la Polonia.

La difesa di Bruxelles nei confronti di Varsavia si è poi formalizzata anche nei capi d’accusa nei confronti di Minsk. Secondo alcuni rapporti, gruppi di migranti sarebbero arrivati in Bielorussia tramite voli commerciali e charter partiti da Emirati Arabi Uniti, Russia, Siria e Turchia. La commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, ha detto che quello a cui assistiamo è “un regime disperato e illegittimo che sta invitando le persone ad arrivare sul loro territorio dicendo che si tratta di un modo facile e sicuro per entrare nell’Ue. Queste persone vengono portate a Minsk, fatte alloggiare in hotel, poi vengono portate alle frontiere, ma da lì non possono più tornare”. Per l’Europa, quella al confine tra Polonia e Bielorussia “non è una crisi migratoria ma una vera e propria aggressione da parte di un regime”.

Per Varsavia, un sostegno così netto da parte di tutti i governi europei, anche di quelli più ostili alla sua linea politica, è una vittoria su tutta la linea. Isolato dopo le scelte sul fronte della magistratura e in generale sulle posizioni per i diritti civili, accusato di voler minare l’Ue e di essere quasi in procinto di una “Polexit”, minacciato con la chiusura dei rubinetti del Next Generation Eu per non essere in linea con il liberalismo propugnato a Bruxelles, ora il governo polacco è l’ultimo baluardo rispetto a quella linea di confine orientale che per molti significa Russia. Lo è per la Nato, lo è per l’Ue. E ci ricorda come la descrizione di un esecutivo o di un Paese, o anche di una crisi, possa cambiare rispetto alle contingenze del tempo. Adesso la Polonia serve di nuovo.

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