Zarifa Ghafari, 28 anni, è una delle pochissime donne ad aver mai ricoperto la carica di sindaca in Afghanistan. Un incarico che le è quasi costato la vita e che ha contribuito all’assassinio del padre, il colonnello Abdul Wasi Ghafari, ucciso a fine 2020 dai talebani.
La giovane sindaca amministra la città di Maidan Shar a pochi chilometri dalla capitale Kabul, nella provincia di Wardak, nota per il sostegno di cui i talebani godono tra la generalità della popolazione. Ghafari ha dovuto fare i conti fin dal principio con l’opposizione dei suoi concittadini: il giorno dell’insediamento è stata accolta dalle proteste di un gruppo di uomini che hanno preso d’assalto il suo ufficio con pietre e bastoni. Per i nove mesi successivi, Ghafari ha amministrato Maidan Shar da Kabul per ragioni di sicurezza e tuttora preferisce tornare nella capitale a fine giornata, piuttosto che risiedere stabilmente nella sua città.
La sindaca ha ricevuto diverse minacce di morte da parte dei talebani e perfino da alcuni suoi ex collaboratori, sopravvivendo a ben tre attentati alla sua vita. Nonostante i pericoli che il suo incarico comporta, non ha intenzione di arrendersi. “Ho scelto la carriera politica perché ero preoccupata per la situazione delle donne nel mio Paese e volevo fare qualcosa. Alla fine ho capito che il modo migliore per apportare dei cambiamenti positivi nella vita delle persone e soprattutto delle donne era la politica”, racconta a InsideOver Zarifa Ghafari.
La sindaca di Maidan Shar è approdata in politica dopo aver studiato in India, aver fondato una Ong di assistenza e promozione delle donne e aver fatto parte del Parlamento dei ragazzi di Wardak. Un percorso possibile anche grazie al sostegno ricevuto dai suoi cari. “La mia famiglia è orgogliosa di ciò che faccio, ma alle volte a prevalere è la preoccupazione a causa di tutte le minacce che ricevo. La situazione è sempre più difficile per le donne, soprattutto per quelle che fanno politica”. Eppure lasciare l’incarico che ricopre non è un’opzione.
L’Afghanistan è il mio Paese ed è mia responsabilità ricostruirlo e occuparmi del suo sviluppo
Continuare ad amministrare Maidan Shar è anche un modo per ispirare altre donne e per cercare di cambiare la mentalità dei suoi concittadini, spiega Ghafari. “Voglio dimostrare che le donne possono avere ruoli di potere”.
Se la carriera politica era iniziata come un percorso personale, dopo l’uccisione del padre per mano dei talebani il suo incarico ha assunto una rilevanza ancora maggiore sul piano personale. “Mio padre era un colonnello, lavorava per il ministero della Difesa. Molte persone lo odiavano a causa del suo ruolo, ma la sua morte è collegata anche al mio lavoro. È stato difficile per me superare la sua perdita, ma la mia dedizione verso la politica non è cambiata. Se prima seguivo un percorso che era solo mio, adesso sto seguendo le orme di mio padre”.
Sul futuro di Ghafari e dell’Afghanistan pesa però il ritiro delle truppe Usa e il ritorno dei talebani, ancora in trattativa con l’attuale Governo di Kabul per la gestione del potere.
“Se vogliono ritirare i soldati va bene, erano in Afghanistan solo come ospiti e adesso possono fare ritorno alle loro case. Però io, in quanto figlia di questo Paese, non sono responsabile per il loro arrivo in Afghanistan né per gli attacchi del 2001, per questo ciò che mi importa davvero è che non siano altri a decidere il mio futuro. Non voglio che i miei anni di battaglie e di impegno politico siano regalati ai talebani”. Di questi ultimi, sottolinea la sindaca, non c’è da fidarsi. “Perché dovrei avere fiducia in loro dopo che hanno ucciso mio padre?”.
La preoccupazione maggiore è per le donne e le minoranze, che rischiano di vedere cancellati i loro diritti sotto i talebani. “Siamo stati delle vittime della guerra e solo pochi giorni fa c’è stato un attacco contro una scuola femminile. I talebani non sono cambiati e continueranno ad essere un problema, soprattutto per le donne”.
Ghafari però è speranzosa. A decidere del futuro dell’Afghanistan secondo lei saranno i giovani. “Più del 20% della popolazione afghana è formata da giovani come me. Faremo del nostro meglio per ricostruire il nostro Paese ed evitare che venga distrutto ancora una volta”.