È già passata più di una settimana da quando l’ex presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, è rimasto ucciso da un colpo partito probabilmente da un cecchino che aveva individuato il suo convoglio in fuga da Sana’a,capitale del paese ed in mano a quegli stessi Houti che poche ore prima aveva lasciato al loro destino, con Saleh che ha preferito, dopo due anni di guerra combattuta nello stesso fronte, aprire un dialogo con l’Arabia Saudita. Nel paese la situazione, dal giorno della morte dell’ex ‘padre padrone’ che per 33 anni ha regnato ininterrottamente nello Yemen, non appare essere cambiata di molto: lo stallo è l’elemento che più caratterizza questo conflitto tanto violento quanto, specie nei confronti della popolazione civile, disumano; i filo sauditi sono passati all’attacco, approfittando del riposizionamento di alcuni gruppi vicini all’ex presidente defunto ma, di fatto, i combattenti sciiti degli Houti non hanno perso molto terreno e hanno fatto quadrato soprattutto attorno la capitale.
Si combatte nelle zone costiere
Se il paese nelle ultime tre decadi si è ritrovato più volte all’interno di un conflitto o in situazioni di pericolosa tensione, lo si deve anche alla sua posizione strategica tra le coste del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano; in quell’insenatura che divide le coste dello Yemen da quelle di Gibuti e dell’Eritrea, si concentra gran parte del traffico navale che poi risale fino al canale di Suez e quindi al Mediterraneo: ecco dunque l’importanza del controllo del mare antistante il paese arabo e così si spiega il motivo per cui, dopo la morte di Saleh, gli scontri si sono sviluppati soprattutto nelle zone del governatorato di Ta’izz, terza città del paese contesa dall’inizio della guerra civile tra filo Houti e filo sauditi. A pochi chilometri dal centro di questa importante località, vi sono le coste che danno sul Mar Rosso; è qui che, dalla fine della scorsa settimana, vengono registrati scontri molto intensi capaci di portare, da un lato, a piccoli successi territoriali filo sauditi, dall’altro però ben si delinea il mancato crollo degli Houti, pronosticato da diversi analisti dopo la decisione di Saleh di rompere l’alleanza.
Come si legge sull’agenzia Reuters, che fa riferimento anche a testimonianze di residenti, la coalizione vicina ai sauditi ha conquistato il piccolo villaggio di al-Khoukha al culmine di combattimenti che hanno comportato la morte di numerosi miliziani e soldati da una parte e dall’altra; a Sana’a invece, secondo l’agenzia Saba (vicina agli Houti) si sono registrati bombardamenti da parte dell’aviazione saudita e degli Emirati Arabi Uniti: i raid avrebbero provocato vittime nella popolazione civile ed in almeno un caso un’intera famiglia sarebbe rimasta uccisa dalle bombe. Complessivamente però, come detto ad inizio articolo, è lo stallo l’elemento caratterizzante questa fase del conflitto: nonostante i raid e l’ingaggio di alcune battaglie in zone strategiche del paese, nessuna delle parti è riuscita al momento ad avere la meglio e le linee dei vari fronti sono rimaste pressoché invariate.
La diatriba sulla restituzione del corpo di Saleh
Intanto a Sana’a da più di una settimana è diventato caso politico anche la restituzione del corpo dell’ex presidente Saleh; attualmente, sempre secondo la Reuters, si troverebbe all’interno di un ospedale militare della capitale yemenita guardato a vista da miliziani Houti: per la restituzione della salma, i militanti sciiti avrebbero posto alla famiglia la precisa condizione di seppellire l’ex capo di Stato presso la cittadina natale di Sanhan, non lontano da Sana’a. I familiari di Saleh però, dal canto loro, vorrebbero la consegna del corpo senza condizioni; nel frattempo, gli Houti tramite i propri canali di stampa hanno annunciato il ritrovamento di ingenti somme di denaro e scorte d’oro presso l’abitazione dell’ex capo di Stato e, stando a quanto dichiarato dagli sciiti, il tutto sarebbe stato adesso sequestrato e consegnato alla tesoreria di Stato anche se non sono emersi, al momento, dati precisi sull’ammontare dei quantitativi sottratti ai Saleh.
L’uomo forte per più di tre decadi dello Yemen, a fine novembre aveva annunciato la fine dell’alleanza con gli Houti e l’inizio del dialogo con i sauditi e quindi con coloro che, a partire dal 2015, hanno intavolato i bombardamenti nel paese con l’obiettivo di sconfiggere i miliziani sciiti; quello che è accaduto pochi giorni dopo l’annuncio di Saleh è sotto gli occhi della storia recente, con l’assassinio dell’ex presidente e le nuove operazioni militari iniziate soprattutto nelle zone costiere. Apparso per l’ultimo volta il 2 dicembre scorso in tv, Saleh aveva esortato i soldati a lui fedeli ad abbandonare gli Houti; l’appello però non sembrerebbe essere stato ascoltato da tutti, visto che i gruppi sciiti al momento, anche se hanno subito piccole perdite territoriali, non hanno dato l’impressione di essere sul punto di capitolare e questo, senza l’aiuto della Guardia Repubblicana e di altre formazioni date per vicine all’ex presidente, non si sarebbe potuto verificare.