Forse perché più lontano della Libia e della Siria, forse perché politicamente più marginale rispetto ai delicati contesti internazionali che stanno coinvolgendo il medio oriente negli ultimi anni, fatto sta che di Yemen si parla sempre meno ed il conflitto in corso in questo paese dal 2015 viene spesso messo in secondo piano. Eppure, da queste parti non si è mai smesso di combattere, né di morire. La guerra continua a fare stragi, così come ad aggravare situazioni umanitarie sempre più deleterie e gravose. E gli ultimi episodi, non sembrano orientati a favore di un ritorno alla possibilità di un dialogo politico.
Le nuove stragi che hanno insanguinato il paese
Il conflitto ha oramai quasi un decennio di vita, un po’ come in Siria ed in Libia del resto. Tutto è partito con la destabilizzazione di questi paesi a seguito della cosiddetta “primavera araba” del 2011, i moti cioè che hanno portato in piazza molti cittadini contro i rispettivi governi. Nello Yemen ad essere destabilizzato è stato il sistema di potere che da anni era retto dal presidente Abdullah Saleh. Quest’ultimo, dopo essere rimasto ferito a seguito di un attacco attuato con un razzo contro la sua abitazione il 3 giugno 2011, ha rassegnato le dimissioni pochi mesi dopo l’inizio delle proteste. A succedergli è stato il suo ex vice Abdrabbuh Mansour Hadi. Ma intanto il paese era scivolato già nel vortice di un conflitto civile latente. In particolare, le milizie filo sciite del partito Ansarullah, meglio note come “Houti”, hanno iniziato ad avanzare prendendo nel 2014 la capitale Sana’a. Contro questo gruppo, sospettato di essere filo iraniano, l’Arabia Saudita ha costituito una coalizione di paesi arabi con la quale è stata lanciata, nel marzo del 2015, un’offensiva militare.
L’operazione è ancora in corso, nonostante il ritiro di alcuni paesi originariamente schierati con Riad e nonostante soprattutto i mancati progressi sul campo contro gli stessi Houti. Da allora per lo Yemen è stato un susseguirsi di episodi luttuosi e di morte. I raid sauditi hanno provocato centinaia di vittime, la stessa Sana’a ad oggi risulta gravemente danneggiata dai bombardamenti che spesso purtroppo hanno coinvolto anche i civili. Ma si muore anche nell’altro versante: gli Houti sono stati in grado di lanciare più volte dei missili contro il territorio saudita, così come i propri ordigni sono stati usati contro le postazioni nemiche. L’ultimo episodio in tal senso, si è avuto lo scorso 19 gennaio a Marib: città petrolifera controllata dall’esercito vicino al governo di Hadi, e dunque inquadrato tra le forze filo saudite, qui gli Houti hanno colpito con un drone una moschea nei pressi di un accampamento militare. Le vittime, gran parte giovanissimi militari colti di sorpresa, sarebbero 83. Ma non si muore solo per le bombe: il blocco navale imposto da Riad, unito alle difficoltà nei collegamenti per via dei combattimenti, non permette l’arrivo di medicine e cibo. E questo, giorno dopo giorno, fa aumentare il numero di chi muore per malnutrizione o per le malattie. Una situazione disperata che però, come detto ad inizio articolo, spesso viene considerata marginale e fatta passare in secondo piano.
Lo stallo militare
E sul campo non si assiste ad alcun cambiamento: la guerra, oltre ad essere cruenta, è anche di logoramento ed impedisce ogni tentativo di dialogo tra le parti. Nonostante i mezzi ed i soldi a propria disposizione, l’Arabia Saudita non è riuscita a far guadagnare terreno all’esercito del governo da lei sostenuto. Gli Houti, dal canto loro, stanno resistendo soprattutto nella parte settentrionale del paese. Il risultato è una situazione di sostanziale stallo, in cui nessuna delle principali parti in causa riesce a provocare decisivi mutamenti sul terreno.
L’impressione è che si andrà avanti con questo scenario per ancora un tempo molto lungo. Da Riad non c’è alcuna intenzione, specialmente in questo periodo, di trattare con una forza vicina all’Iran. Tra gli Houti, dopo una resistenza quasi quinquennale, nessuno ha la volontà di sedersi al tavolo con le forze del governo di Hadi. L’unico confronto politico di questi anni ha riguardato la situazione nella città portuale di Hodeidah, qui dove forze filo saudite e filo Houti si contendono il controllo di questo strategico territorio da cui transitano gran parte delle merci destinate allo Yemen. Dal dicembre 2018, dopo l’accordo di Stoccolma mediato dalle Nazioni Unite, ad Hodeidah dovrebbe esserci una tregua volta a garantire l’arrivo di aiuti umanitari. Ma si è continuato a sparare da entrambe le parti, tanto che quell’accordo si è poi rivelato solo una piccola ed infruttuosa parentesi politica nel bel mezzo di un marasma contrassegnato solo dalla guerra.