Il governo dello Yemen e i separatisti meridionali sarebbero vicini ad un accordo sul porto di Aden: è quanto riferiscono in queste ore fonti vicine ai negoziatori riportate da Al Jazeera. Non solo, secondo una notizia di martedì 8 ottobre (diffusa dall’agenzia di stampa degli Emirati Wam), il viceministro della difesa saudita Khalid bin Salman si è recato in visita negli Emirati per coordinarsi con le forze di Abu Dhabi al fine di porre termine allo stallo di Aden tra governo locale e i separatisti del Sud. Il viceministro sarebbe stato accolto dall’erede al trono e vice capo delle forze armate Mohammed bin Zayd al Nahyan per discutere la complessa questione strategica e militare che affligge lo Yemen.

L’Arabia Saudita, infatti, leader di una coalizione araba che combatte i ribelli Houthi, avrebbe promosso da circa un mese dei colloqui indiretti tra il governo di Abd-Rabbu Mansour Hadi e il Consiglio di transizione del Sud (Stc), voce politica e militare della fascia meridionale del Paese. Le forze dell’Stc, armate ed addestrate dagli Emirati, hanno cercato di consolidare il proprio potere al sud, contribuendo a complicare gli sforzi compiuti dalle Nazioni Unite nell’area per pacificare il Paese frantumato in un’assurda sovranità tripla.

Sempre nelle notizie trapelate in queste ore, due ufficiali del governo yemenita hanno riferito che l’Arabia Saudita avrebbe presentato una proposta di accordo volta ad includere l’Stc in un nuovo (o ripristinato?) governo Hadi, congiuntamente ad un rinnovato dispiegamento di forze saudite in quel di Aden, con l’obiettivo di supervisionare la formazione di un cordone di sicurezza in città. Vi sarebbero dunque dei progressi notevoli nei negoziati di Jeddah che convergerebbero sostanzialmente verso una strategia tripolare: transizione inclusiva verso le forze Stc, de-escalation nell’area di Aden, redistribuzione delle forze militari schierate sul campo. Le forze dell’Stc, via Twitter (ebbene si), si mostrano collaborative annunciando che un accordo potrebbe essere firmato tra pochissimi giorni. A conferma di notizie e indiscrezioni anche le parole dell’ambasciatore del governo Hadi in Francia, Reyad Yassin Abdullah, fermamente intenzionato a risolvere il nodo gordiano su Aden.

Un groviglio geopolitico

Fin qui un caleidoscopio di attori in campo (filogovernativi, Houthi, Stc), strategie dei patron mediorientali (Arabia Saudita, Iran, Emirati), l’eterna guerra fratricida tra sunniti e sciiti, un groviglio di interessi economici. Aden è la rappresentazione simbolica di tutto questo, perché la storia ha voluto che questo antico porto fosse uno dei crocevia della geopolitica mondiale: oggetto delle aggressioni della pirateria somala, sede di transito di un quinto del petrolio mondiale, nodo caldo sulla rotta dei migranti africani, adesso sotto assedio delle mille facce dello Yemen Paese. Ma se è facile immaginare quanto sia importante controllare Aden, quali possono essere, invece, le conseguenze di un’auspicabile tregua?

Le conseguenze della pace

Partiamo dall’Arabia Saudita. Lo Yemen è un vecchio trauma per Riad, che ancora una volta rischia di trasformarsi in un Vietnam saudita come negli anni della Arab Cold War. Se i colloqui di pace dovessero, infatti, portare ad una intesa tra forze yemenite, sarebbe nettamente ridotto il potere degli Emirati ed il loro ruolo nell’area, e l’influenza saudita ne uscirebbe nuovamente accresciuta. La tregua, inoltre, contribuirebbe anche a disinnescare le relazioni tra Iran e Arabia Saudita: allentare le ulteriori tensioni, inoltre, tra forze saudite e Houthi sarà utile a sua volta utile per placare le relazioni perennemente esplosive tra Teheran e Riad che qui si combattono una guerra per procura. Ma Aden non è una questione a sé rispetto al conflitto yemenita e l’errore di strategia di questi anni è stato, forse, anche questo: Aden è il conflitto yemenita, a prescindere dal ruolo strategico del Golfo omonimo. Giungere ad un accordo sull’importante città portuale è condizione necessaria anche per le Nazioni Unite: allentare la crisi servirà a rafforzare gli sforzi fatti fin qui per porre fine ad un dramma umanitario che ha ucciso migliaia di civili e ridotto alla fame altrettante migliaia. Aden potrebbe proprio essere il “porto sicuro” presso il quale progettare una strategia di pacificazione a lungo termine, una sorta di città libera ove costringere al dialogo le forze in campo che si contendono lo scettro della sovranità politica. Anche l’Stc sembra più che mai interessato alla pacificazione di Aden, probabilmente molto più ad un processo di peace building che una tregua tra le forze yemenite: il Consiglio di Transizione del Sud, infatti, da tempo chiede fortemente un ruolo all’interno dei negoziati Onu che, tuttavia, continua a perseguire una ricomposizione a due voci del conflitto yemenita in stile anni Sessanta (lealisti contro ribelli), ignorando quanto il Paese sia ormai ridotto ad un puzzle di gruppi e sottogruppi, mescolati ad un mare magnum di bande armate dedite alla delinquenza abituale più che alle rivendicazioni politiche. E poi ci sono gli Emirati Arabi, le Las Vegas del deserto: un ruolo ambiguo che oscilla tra mosse militari e annunci ad effetto. Proprio qui Abu Dhabi, infatti, sta giocando a scacchi con i Sauditi: nel Hadramawt, la regione costiera ad est di Aden (la più ricca di petrolio) e più vulnerabile alle infiltrazioni quaediste, sta germinando una nuova cintura di crisi. Le milizie filo emiratine, mosse direttamente da Abu Dhabi, stanno sconfinando sempre più a nord, area sotto controllo di un generale pro-Hadi nonché da forze legate ai Sauditi: qui, in caso di pace, i grandi poteri arabi accetteranno un ritiro senza condizioni, rinunciando alla divisione dello Yemen in “blocchi” di influenza? E se la tregua non arrivasse “oseranno” scontrarsi fra loro?

Ai posteri le ardue sentenze: nel frattempo una nuova guerra fredda araba è servita.

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