Non è passata inosservata la data scelta da Vladimir Putin per annunciare il riconoscimento delle due repubbliche separatiste di Donetsk e di Lugansk, primo atto che ha portato poi il 24 febbraio all’attacco contro l’Ucraina. Era il 21 febbraio, giorno successivo alla chiusura delle Olimpiadi di Pechino, ma non solo. In quella giornata cadeva l’ottavo anniversario della deposizione di Viktor Yanukovich, l’ultimo presidente ucraino vicino al Cremlino. Una coincidenza forse, ma anche un preciso segnale. Non è quindi un caso se oggi il nome di Yanukovich è tornato a riecheggiare negli ambienti diplomatici. Non sono pochi coloro a credere che, una volta presa Kiev, Putin voglia mettere nuovamente lui a capo del Paese.
Chi è Yanukovich
La sua carriera politica è iniziata negli anni ’80, quando l’Ucraina era ancora parte dell’Unione Sovietica. Iscritto al Partito Comunista, i dirigenti locali di Donetsk, oblast in cui è nato, lo hanno inserito quale dirigente di alcune aziende di trasporto regionale. Yanukovich è nato proprio lì, in quel Donbass oggi primo scenario della guerra. Il suo albero genealogico può dire molto della complessità dell’Ucraina attuale. Suo padre era un operaio bielorusso, emigrato a Donetsk per lavorare nelle tante fabbriche sorte nella zona tra gli anni ’30 e ’40, sua madre invece era russa. Lui ha sempre dichiarato di sentirsi ucraino. La politica per Yanukovich, classe 1950, ha rappresentato un vero e proprio cambio di vita. Diventato presto orfano, nel 1968 e nel 1970 ha subito due condanne per furto e per ingiurie. In quel periodo come deputato locale del Partito Comunista di Donetsk, operava il cosmonauta Georgij Beregovoj, impegnato nel reinserimento nella società di persone raggiunte da condanne per piccoli reati. Si dice sia stato proprio lui a consigliare la carriera politica a Yanukovich, diventandone una sorta di “padrino politico”. Caduta l’Urss, l’impegno politico è proseguito all’interno della nuova repubblica ucraina indipendente. Nel 1997 è stato nominato governatore dell’oblast di Donetsk, nel 2002 il grande e definitivo salto: l’allora presidente Kucma lo ha nominato primo ministro.
Non ha mai nascosto le simpatie per il Cremlino, al tempo stesso però da capo del governo ha autorizzato l’invio di soldati in Iraq nel 2003 a sostegno della missione Usa. Delfino di Kucma, era lui il designato presidente per le elezioni del 2004. Candidato per il Partito delle Regioni, diventato poi con il tempo riferimento per la popolazione russofona e filorussa, la scalata però non è andata subito a buon fine. Lo sfidante Viktor Yushenko ha denunciato brogli, la Corte ha ordinato la ripetizione del ballottaggio e, sulla spinta delle proteste di piazza e della cosiddetta “rivoluzione arancione”, alla fine le elezioni hanno bocciato Yanukovich. Quelle consultazioni sono state il primo evento che hanno mostrato un Paese spaccato tra filo occidentali e filorussi. Una divisione anche geografica tra regioni occidentali più legate all’Europa e regioni meridionali e orientali vicine a Mosca. Yushenko ha portato avanti un programma filo occidentale ed è stato il primo presidente ucraino a provare a smarcarsi da Mosca. La sua rivoluzione però si è sciolta come la neve di Kiev in primavera. La coalizione filo Europa si è subito spaccata e Yanukovich ha prima trionfato alle legislative del 2006, tornando primo ministro, poi alle presidenziali del 2010.
Le vicende di piazza Maidan
Quello con lo scettro di capo dello Stato è stato quindi solo un appuntamento rinviato. Per Mosca la sua elezione senza dubbio ha rappresentato un sospiro di sollievo. Ma Yanukovich per la verità non ha mai del tutto tagliato i ponti con l’occidente. Anzi, nel 2013 era prossimo alla sottoscrizione di un accordo economico con l’Unione Europea. Nel novembre di quell’anno poi il presidente ucraino ha fatto un passo indietro, preferendo al contrario la firma di un’intesa con la Russia. Questo ha scatenato la piazza. Le proteste hanno avuto come epicentro piazza Maidan, a Kiev. A dicembre le manifestazioni si sono trasformate in scontri, prima saltuari e poi quotidiani. La storia arrivata successivamente è ben nota. Intuendo l’aria, il 21 febbraio Yanukovich ha lasciato Kiev e si è diretto a Kharkiv, la città oggi nel mirino dell’artiglieria russa. Ufficialmente era lì per un incontro con i funzionari locali del suo partito. In realtà Kharkiv, con una cospicua minoranza russofona e a pochi chilometri dal confine, rappresentava una via di fuga fondamentale. Piazza Maidan quel giorno vedeva la presenza al suo interno di settori estremisti, come Pravij Sektor e Svoboda. In quel 21 febbraio il parlamento ha votato a favore della destituzione di Yanukovich. Iniziava così l’era post Maidan dell’Ucraina, con presidenti e governi schierati in modo netto verso il versante occidentale.
Dove ha trascorso gli ultimi anni
La notte del 21 febbraio Yanukovich l’ha trascorsa in un punto non precisato del confine russo-ucraino, dove l’esercito di Mosca è riuscito a intercettarlo e a portarlo fuori dal Paese. A raccontarlo è stato, un anno dopo dai fatti, lo stesso Vladimir Putin. L’ex presidente ucraino è poi apparso in video per la prima volta dopo la destituzione soltanto una settimana dopo. Per lui quanto avvenuto era abbastanza chiaro: quello di piazza Maidan è stato un colpo di Stato e le proteste sono state incentivate da settori estremisti e dall’occidente. Inoltre Yanukovich ha avanzato dubbi di natura giuridica sulla validità del voto parlamentare che alla fine lo ha estromesso. Ma intanto la sua vita, da allora in poi, è trascorsa in Russia. Secondo i vari giornalisti che a lui si sono avvicinati dopo la deposizione, gran parte del tempo lo ha impiegato a Rostov, la città russa più vicina al suo oblast di Donetsk, nel frattempo diventato in parte controllato dai separatisti.
Nella sua prima intervista successiva alla deposizione, si era espresso contro la perdita della Crimea. Difficile oggi stabilire quali siano le sue posizioni. Anche perché nessuno lo ha mai visto come un pretendente rientrante nella politica ucraina. Sia perché nel frattempo ha dovuto subire alcune tragiche vicende personali, a partire dalla scomparsa del primogenito morto annegato il 23 marzo 2015 nel lago Baikal. E sia perché ufficialmente in Ucraina avrebbe una condanna da scontare a 13 anni per via dei fatti di piazza Maidan.
Putin lo rimetterà al potere?
In pochi, scoppiata la guerra, avrebbero pensato a lui come uomo di Mosca da (ri)piazzare a Kiev. Al di là della condanna subita, che per la verità avrebbe ben poco significato in caso di collasso dell’attuale Stato ucraino, tra i cittadini non è mai stato molto popolare. Anche se poi la rivolta di piazza Maidan ha assunto ben altri significati, inizialmente tra i manifestanti c’erano gruppi che protestavano contro la corruzione e l’incapacità del suo governo di affrontare la crisi economica. Eppure negli ultimi giorni diversi media parlano della presenza di Yanukovich in Bielorussia. Sarebbe lì perché, una volta presa Kiev, il Cremlino vorrebbe lui al potere. Un’indiscrezione di cui ha parlato anche l’ex premier polacco ed ex presidente del consiglio europeo, Donald Tusk. Per Putin sarebbe forse una rivalsa ma anche un ennesimo azzardo in questo dossier ucraino. Difficile dire se Yanukovich abbia o meno intenzione di rimettere piede a Kiev. Ma alla fine il presidente russo gli ha salvato la vita. E in caso di richiesta, non potrebbe dire di no.