Le immagini oramai parlano chiaro. Dalle regioni a nord di Kiev arrivano foto e video che mostrano mezzi russi abbandonati, strade sbarrate ma rimaste senza soldati, località dove i pochi civili rimasti provano a togliere dalle strade le macerie.
Russian vehicles abandoned near #Kyiv pic.twitter.com/RmPtFcqV4C
— Michael A. Horowitz (@michaelh992) April 2, 2022
Sono i segni inequivocabili di quella che, a tutti gli effetti, è una ritirata. I russi hanno lasciato la capitale ucraina, per la verità non ci hanno mai messo piede. L’avamposto dell’hinterland di Kiev più vicino al centro che hanno controllato dal 24 febbraio ad oggi è quello di Irpin, ultimo centro urbano prima della metropoli.
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Mosca parla di riposizionamento, Kiev e Washington di “ritirata tattica”. Due modi diversi per dire la stessa cosa e cioè che quanto visto nelle ultime ore è un ritiro (quasi) ordinato da un campo di battaglia rivelatosi troppo ostile. Una prima sconfitta, termine non usato né al Cremlino e né alla Casa Bianca. Perché in nessuna delle capitali coinvolte ci sono persone che si illudono di una guerra prossima alla fine.
L’imminente battaglia ad est
A Mosca vien facile non parlare di sconfitta perché a Kiev e a Washington non c’è voglia di parlare di vittoria. Dare l’idea di aver vinto una battaglia potrebbe imprimere tra gli ucraini l’illusione di aver portato a casa la guerra. E allora le parti adesso vogliono concentrarsi lungo il fronte est dell’Ucraina. Qui dove cioè i russi sono già presenti da tempo e dove ci sono i principali interessi di Mosca, sia economici che politici. Il termine “liberazione“, con riferimento al Donbass, del resto è stato più volte citato negli ultimi discorsi di Vladimir Putin. Nella logica del Cremlino dunque occorre, una volta non riuscita l’operazione di prendere d’assalto la capitale ucraina e far sciogliere l’attuale Stato ucraino, almeno mettere al riparo gli obiettivi strategici più a portata. E cioè consolidare le posizioni nell’est dell’Ucraina.
Le intenzioni di Mosca sono confermate dalle ultime notizie trapelate tra venerdì e sabato. Non solo sono aumentati i raid aerei, i quali hanno raggiunto anche la città di Dnepr, ma è aumentata la pressione delle truppe via terra come dimostrato dalla conquista di Izyum. Quest’ultima è una località strategica a cavallo tra la regione di Kharkiv e il Donbass, prenderla per i russi potrebbe voler dire pensare seriamente a un accerchiamento delle truppe ucraine presenti nell’est del Paese.
Russian soldier touring the Izyum frontline pic.twitter.com/nMnyRzWXVj
— Michael A. Horowitz (@michaelh992) April 2, 2022
A partire da quelle all’interno di città importanti come Slovjansk e Severodonetsk. Un’avanzata su questo fronte potrebbe far convergere i soldati di Mosca con i reparti russi risalenti dall’oblast di Zaporizhzhia. Con quelle unità cioè che hanno assediato Mariupol e sono pronte, partendo dalla cittadina di Volnovakha a circondare le zone ancora in mano ucraina nel Donbass.
Un conflitto a “intermittenza”
Dei possibili piani russi gli ucraini ne sono ben consapevoli. Anche perché costantemente informati soprattutto dall’intelligence Usa e della Gran Bretagna. Lasciati i dintorni di Kiev, i russi hanno liberato truppe da spedire nel Donbass, ma lo stesso discorso vale anche per gli ucraini. Molti soldati schierati a difesa della capitale potranno dirigersi verso l’est del Paese. E sta nella velocità degli spostamenti dei due eserciti belligeranti la chiave per capire l’evoluzione prossima del conflitto.
I russi, nel loro posizionamento, non devono temere l’aviazione nemica. Semplicemente, dalla Bielorussia transitano nel proprio territorio e in poco tempo possono raggiungere i fronti meridionali dell’Ucraina. Al contrario, per l’esercito di Kiev ogni singolo spostamento sarà più difficile perché esposto al fuoco russo. Non è un caso i raid di Mosca in questi ultimi giorni hanno preso di mira serbatoi di carburante e depositi di armi. L’obiettivo è quello di ridurre al minimo le capacità logistiche ucraine di spostare le proprie truppe.
In tal modo i rinforzi mandati da Kiev potrebbero arrivare troppo tardi. Potrebbe essere questa la scommessa russa per portare a casa, nel giro di poche settimane, l’intero Donbass. Se il riposizionamento russo dovesse riuscire, cosa accadrà? Secondo l’analista militare Richard Weitz, intervistato su La Stampa, si potrebbe andare verso un confronto a più fasi. Vale a dire, una guerra di lunga durata intervallata da tregue e cessate il fuoco: “Guardiamo alla Siria – ha dichiarato Weitz – ci sono stati brevi momenti di cessate il fuoco. In quelle finestre la Russia si assesta, poi lancia nuovi attacchi e si muove. Quindi si ottiene un altro cessate il fuoco in una sorta di perenne movimento fra tregue e combattimenti”.
L’obiettivo di prendere Kiev forse non è del tutto tramontato. Così come forse Mosca potrebbe non accontentarsi del Donbass, nel caso in cui la manovra a tenaglia delle prossime settimane dovesse riuscire. Si proverà, eventualmente, ad arrivare ad altri obiettivi dopo una serie di intervalli tra guerra e tregua.
Donbass elemento chiave
La probabile offensiva nel Donbass potrebbe risultare decisiva anche sotto il fronte psicologico. Il ritiro da Kiev e le difficoltà incontrate durante le battaglie hanno inciso sul morale delle truppe russe. Al contrario, hanno innalzato quello degli ucraini. Mosca ha bisogno di ostentare la vittoria in una precisa regione del Paese. In questo modo ridarebbe morale alle proprie truppe, mentre gli ucraini dopo tanti sacrifici si ritroverebbero comunque privati di una fetta importante di territorio. Il Cremlino avrebbe nelle proprie mani quindi quella spinta decisiva per tornare, dopo un nuovo posizionamento, a ordinare nuove battaglie alle proprie truppe. Magari anche nella stessa Kiev, seguendo la logica del conflitto a intermittenza.
Se la manovra nel Donbass non dovesse riuscire, allora si aprirebbero due scenari: lo stallo oppure un graduale ritiro dalle zone occupate dal 24 febbraio. Quest’ultimo scenario assomiglierebbe da vicino a una sconfitta, quindi è sul primo che in tanti sono pronti a scommettere. Proprio perché nello stallo i russi hanno dimostrato in Siria di sapersi riorganizzare e contrattaccare.
Non è detto però che questo scenario possa essere applicabile in Ucraina. In Siria Mosca ha aiutato il governo locale a riprendere i territori e quindi era l’esercito siriano a sorbirsi le peggiori perdite in termini di vite umane e mezzi. Inoltre a Damasco il mandato russo era ben chiaro: far tornare Assad nelle principali città siriane. In Ucraina a mancare è proprio la chiarezza sugli obiettivi. Non si sa cioè se il Cremlino vuole il riconoscimento dello status quo pre 24 febbraio, se vuole l’annessione del Donbass oppure, nel lungo periodo, se vuole un ribaltamento totale dell’Ucraina. Senza obiettivi chiari il rischio concreto è quello di un ulteriore pantano.