L’ultima sacca di resistenza ucraina a Mariupol è stata sconfitta. I combattenti asserragliati nell’acciaeria Azovstal stanno completando l’evacuazione concordata tra Kiev e Mosca. La Russia può così esultare: dopo oltre 80 giorni di feroci battaglie, bombardamenti a tappeto e assalti, le forze del Cremlino hanno completato la conquista della città portuale.

Dal punto di vista simbolico, la presa di Mariupol rappresenta il primo vero trofeo – ad eccezione di Kherson, dove tuttavia si continua a combattere – che Vladimir Putin può inserire nella sua fin qui ancora vuota bacheca ucraina. Un trofeo che vale doppio, visto che nello stabilimento siderurgico espugnato erano nascoti gli uomini del battaglione Azov, i “nazisti” da estirpare da ogni costo per poter proseguire con la denazificazione dell’Ucraina.

Ma la vittoria russa nasconde tante altre chiavi di lettura. Mariupol, ad esempio, prima della guerra contava 400mila abitanti, per lo più russofoni, e Mosca si era prefissata l’obiettivo di liberarli dal giogo dei suddetti “nazisti”. Il punto è che questa complcata conquista ha sostanzialmente costretto l’esercito russo a concentrarsi prevalentemente su Mariupol, vanificando l’eventuale presa di altri territori. Nel frattempo gli ucraini hanno ricevuto armi dall’Occidente, si sono riorganizzati e sono pronti a contrattaccare nel quadrante orientale del Paese.

L’importanza militare di Mariupol

Sul piano militare la presa di Mariupol consente alla Russia di creare una sorta di corridoio nel sud dell’Ucraina. Un corridoio capace di collegare la Crimea alla parte di Donbass finito in mano russa. Ma non è finia qui, perché la conquista della città portuale offre a Mosca un nuovo elemento da esibire quando sarà tempo di tornare al tavolo dei negoziati.

Il Corriere della Sera ha inoltre sottolineato come la Russia stia fortificando il fronte meridionale, tra postazioni in cemento, trincee e difese allestite per ostacolare una eventuale riconquista ucraina. La sensazione è che il Cremlino voglia ridurre lo sbocco sul Mar Nero di Kiev, magari nel tentativo di soffocare economicamente il Paese guidato da Volodymyr Zelensky.



Il valore simbolico

C’è poi da considerare un doppio valore simbolico: tanto per l’Ucraina quanto per la Russia. Per Kiev, la prova di resistenza offerta dai combattenti del battaglione Azov – il cui nazionalismo è stato giustificato per la difesa della patria – rappresenta una sorta di vittoria simbolica. Aver tenuto testa per quasi tre mesi ad un nemico sulla carta nettamente più potente è un attestato di stima che Zelensky potrà esibire da qui ai prossimi giorni. Sul lato russo, invece, la sconfitta dei militari di Azov – perché di sconfitta, in fin dei conti, si parla – potrebbe bastare per offrire a Mosca materiale a sufficienza per proclamare la fine dell'”operazione militare speciale” dichiarando la vittoria sui nazisti.

Resta, dunque, da capire che cosa succederà adesso. È vero che la Russia, in relazione a Mariupol, ha parlato di “resa di massa” – chiaro segnale di come il Cremlino potrebbe vendere la conquista della città come una vittoria roboante – ma bisogna anche considerare due aspetti. Il primo: l’odierna vittoria russa a Mariupol non può avere lo stesso valore di quella stessa vittoria conseguita due mesi fa, perché significa che i russi hanno impiegato settimane e settimane per conquistare una città neppure di prima fascia. Il secondo aspetto riguarda invece il piano generale di Mosca: la Russia, in teoria, aveva piani ben più ambiziosi della semplice presa di Mariupol. Non è quindi da escludere che i russi possano continuare a cercare il pieno controllo del Donbass e dell’Ucraina meridionale. Per poi, chissà, proseguire ancora sulla fascia costiera o fermarsi.

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