Le tensioni per il Mar Cinese Meridionale, area al centro di contese internazionali che vedono protagonisti gli Stati rivieraschi bagnati da quel bacino marittimo, non accenna a diminuire: negli ultimi due mesi stiamo assistendo a una disputa, passata un po’ sottotraccia sia a causa delle ben note altre questioni internazionali sia per la stessa volontà dei contendenti di non darne pubblicità, che riaccende i pericoli di una possibile battaglia non solo diplomatica.

Malesia, Cina e Vietnam sono impegnati, infatti, in uno scontro per il controllo dell’attività di pesca, ma soprattutto di estrazione di idrocarburi, di un settore di quel mare che, anche nei mesi passati, ha visto una battaglia combattuta a colpi di intimidazioni portate da vascelli militari e paramilitari delle rispettive nazioni.

In particolare, come si può leggere nel rapporto Asia Maritime Transparency Initiative del Csis (Center for Strategic and International Studies), un think tank con sede a Washington, al centro della disputa ci sono due concessioni di ricerca e sfruttamento per l’oil & gas (la ND1 e ND2) localizzate nel cosiddetto Vanguard bank, a sud-ovest delle isole Spratly.

Quel settore è sede di esplorazione petrolifera da parte di Petronas, la compagnia di Stato malaysiana, ma Pechino e Hanoi, che rivendicano in parte o in toto la sovranità su quel settore di mare, stanno dimostrando di non voler accettare i piani di Kuala Lumpur.

Lo scontro per Vanguard bank

Nel mirino c’è una nave per esplorazioni petrolifere di proprietà della londinese Seadrill, ma affittata da Petronas, la West Capella, che sta effettuando una campagna di esplorazione nei blocchi ND1 e 2 della concessione di ricerca.

La West Capella ha cominciato ad operare a ottobre dello scorso anno, nel blocco ND4, per poi spostarsi negli altri due a dicembre e ivi restare anche con l’inizio del nuovo anno.

Quasi da subito è cominciata l’attività di monitoraggio, ma che possiamo definire intimidatoria, delle unità della Guardia Costiera cinese: ai primi di dicembre (dal 6 al 9) almeno due cutter, il 5202 della classe Zhaojun (da 2700 tonnellate di stazza) e il più grande 5403 della classe Zhaolai (5mila tonnellate) armato con un cannone da 76 millimetri, hanno effettuato un pattugliamento molto ravvicinato dell’attività della West Capella.

Tali azioni sono state più volte reiterate dal naviglio della Haijin (così si chiama la Guardia Costiera in Cina) nel corso di questi mesi: segnatamente le unità cinesi, il 21 e 22 dicembre, hanno alternato il servizio di scorta al naviglio della flotta da pesca di Pechino, all’attività di intimidazione della nave da ricerca petrolifera, e ancora nel periodo che va dal 27 dicembre al 6 gennaio.

La risposta della Royal Malaysian Navy è avvenuta, a fronte delle reiterate provocazioni, il 5 gennaio con l’invio del cacciatorpediniere lanciamissili Jebat, da 2270 tonnellate di stazza, azione che ha provocato il temporaneo dietro-front delle unità navali cinesi.

Una ritirata solo momentanea, in quanto già il 13 un vascello della classe Zhaoduan, il 5305, ha effettuato una puntata sulla West Capella. Azioni poi ripetute, da altre unità cinesi, il 21 e 26 gennaio.

Il 28 l’attività navale cinese si è spostata in un altro settore in cui sono attive piattaforme di produzione malesi: presso Luconia Shoals sono in attività di estrazione i blocchi SK308 e 408 per conto della Shell e di Sapura. Nello stesso periodo Kuala Lumpur ha inviato in quell’area un pattugliatore (il Kedah) e un cacciatorpediniere (il Kelantan) ma è solo all’inizio di febbraio, quando viene inviato anche il pattugliatore Bagan Datuk che le navi cinesi abbandonano l’area, per poi essere rapidamente sostituite da un cutter di più grosso tonnellaggio (classe Zhaojun).

In questo gioco a due si è inserito anche il Vietnam, che nello stesso arco temporale che va dalla fine di dicembre a metà febbraio ha inviato nella zona delle barche da pesca “militarizzate” ovvero con personale militare a bordo (e orientativamente anche con qualche tipo di armamento leggero). Questo tipo di naviglio sottile di Hanoi ha effettuato, pressoché ininterrottamente, attività di pattugliamento dell’attività navale cinese e malaysiana.

Alta tensione e nuovi scenari

Quello che sappiamo dell’attività navale in quel settore del Mar Cinese Meridionale è comunque frammentario a causa del fatto che i movimenti del naviglio sono individuabili solo tramite i segnali del “transponder” e dalla ricognizione satellitare, pertanto in caso il transponder venga spento – come spesso accade – e per colpa della non totale copertura dei satelliti (per ovvi motivi), non abbiamo un quadro accurato di quanto stia avvenendo in queste settimane, anche per la decisione dei rispettivi governi coinvolti di tenere il tutto sotto traccia.

È lecito quindi supporre che l’attività di intimidazione e pattugliamento reciproco sia stata pressoché continua e che non accenni a diminuire. Quello che risulta nuovo in questa diatriba è stata la decisione di Kuala Lumpur di ignorare lo spirito degli accordi del 2009 in merito allo sfruttamento delle risorse marittime che aveva garantito la stabilità con il Vietnam. Una mossa che potrebbe destabilizzare il fronte degli Stati del Sudest Asiatico che cerca di opporsi all’aggressività della Cina, che, come abbiamo avuto modo di dire più volte da queste colonne, ritiene di avere la totale sovranità sul Mar Cinese Meridionale.

Avevamo avuto modo di sottolineare, lo scorso agosto, come proprio il Vietnam fosse tra i principali oppositori della Cina – anche per motivazioni storiche – al punto da essere l’anello di congiunzione per alleanza “strane” e inaspettate: la Russia era infatti entrata in gioco proprio per la questione dell’estrazione di idrocarburi tramite le sue società Rosneft e Gazprom.

L’attività della Malesia in un’area che da Hanoi viene ritenuta nella propria zona di esclusività economica, potrebbe frammentare il fronte “anticinese” e mettere in imbarazzo Mosca, che attualmente opera con le sue società esclusivamente per conto del Vietnam.

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