La notizia era stata fatta circolare dal Times attraverso una strano giro di fonti. Il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, aveva detto di avere parlato con l’omologa britannica, il “falco” Liz Truss, per formare un “corridoio protettivo” formato da navi di una “coalizione di volenterosi”, a partire dalla Gran Bretagna, che avrebbe scortato le navi cariche di grano in partenza da Odessa. Un portavoce di Downing Street ha poi smentito questa versione dei fatti attraverso il Guardian: “Il deprecabile blocco del porto di Odessa voluto da Putin impedisce al cibo di arrivare alla gente che ne ha bisogno. Continueremo a lavorare intensamente con i partner internazionali per trovare modi di riprendere le esportazioni di grano dall’Ucraina”, ha detto il funzionario, “tuttavia, non vi sono attualmente piani per dispiegare navi da guerra britanniche nel mar Nero“.

L’ipotesi è dunque al momento tramontata. Ma va detto che l’idea era apparsa da subito estremamente velleitaria per diversi motivi. Innanzitutto perché fino a questo momento la Turchia ha applicato la clausola della convenzione di Montreux che vieta l’ingresso di navi militari nel Mar Nero ad eccezione di quelle che devono rientrare nelle proprie basi. La Royal Navy, per ovvie ragioni, non ha sue basi in quello specchio d’acqua e dunque sarebbe impossibile al momento spedire parte della propria flotta senza sfondare il “muro” del Bosforo voluto da Recep Tayyip Erdogan. In caso contrario, e cioè con la disattivazione della clausola, potrebbero entrare nel Mar Nero anche altre navi russe appartenenti ad altre basi: il che implicherebbe il rafforzamento di tutto il dispiegamento marittimo davanti alle coste dell’Ucraina.

In secondo luogo, il rischio di questa missione sarebbe stato comunque enorme vista la contemporanea presenza di unità russe in assetto da guerra e unità Nato che avrebbero scortato mercantili ucraini direttamente dal principale porto del Paese. Mosca non avrebbe mai permesso un’azione del genere, soprattutto per timore di uno schieramento continuo delle flotte atlantiche in quel mare. E il sospetto di utilizzare quelle scorte per trasportare armi e aiuti in favore di Kiev avrebbe allertato la macchina russa con conseguenze poco definibili ma certamente allarmanti. Per adesso, l’unica alternativa che appare in grado di convincere forse i comandi russi, e solo in futuro, è l’iniziativa su una possibile missione internazionale per sminare i porti del Mar Nero.

Tuttavia, anche in questo caso bisogna passare non solo per l’approvazione da parte di Ankara, ma anche per un placet, pure se informale e sotterraneo, di Mosca. Trattative tutt’altro che semplici che, specie se nate su proposta britannica, potrebbero trovare già la netta avversione da parte della Russia. E per questo l’idea di Londra e dei Baltici appare un azzardo che non sembra concretizzabile senza una missione umanitaria che veda anche il pieno sostegno di tutte le parti in gioco.

Da parte del Cremlino sono arrivati timidi segnali di apertura quantomeno per il porto di Mariupol. Il ministero della Difesa russo ha comunicato infatti la decisione di aprire da questa mattina un corridoio per le navi straniere. Mikhail Mizintsev, capo del Centro di controllo della difesa nazionale russa, ha detto che “per l’uscita sicura delle navi straniere dal porto di Mariupol dalle 08:00 del 25 maggio è stato organizzato un corridoio umanitario lungo 115 miglia e largo 2 miglia in direzione del Mar Nero“. Ma resta il problema per i cargo bloccati nei porti di “Kherson, Nikolaev, Chernomorsk, Ochakov, Odessa e Yuzhny” dove “70 navi straniere provenienti da 16 Stati rimangono bloccate”. Un numero estremamente rilevante di imbarcazioni che rischia di creare un effetto a catena devastante per la stabilità di tutti i Paesi che attendono con ansia i cereali russi e ucraini, in particolare grano, ma anche i prodotti chimici utilizzati nelle coltivazioni. Un numero su tutti: come riporta Agi, il grano esportato da Russia e Ucraina prima del conflitto copriva il 30% del consumo mondiale. Solo quello provenienti dai campi ucraini rappresentava la metà del grano usato per i programmi del World Food Program delle Nazioni Unite per contrastare carestie e gravi crisi alimentari.

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