Prima di morire da martire nell’Iraq che si preparava all’ascesa del fondamentalismo, padre Ragheed Ganni, ha vissuto da martire a Mosul, tra minacce, attentati e persecuzioni. A raccontare la sua vita in un libro, è padre Rebwar Audish Basa, sacerdote iracheno ordinato a Mosul, che a dieci anni dall’uccisione di padre Ragheed, con il supporto della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha deciso di scrivere “Un sacerdote cattolico nello Stato Islamico”. Un volume, presentato giovedì nella sede romana di ACS-Italia, che con foto e testimonianze inedite ripercorre l’esistenza e il martirio di questo sacerdote, assassinato il 3 giugno del 2007 da un gruppo di estremisti islamici.Un sacerdote martire nello “Stato islamico”Nato a Karemles, nella Piana di Ninive nel 1972, padre Ragheed ha studiato teologia ecumenica presso l’Università di San Tommaso d’Aquino a Roma, grazie ad una borsa di studio offerta da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Nel 2003 l’Iraq era già un Paese in guerra, ma padre Ragheed, quello stesso anno, decise ugualmente di tornare a Mosul, per occuparsi dei cristiani in un Paese “dove ogni giorno la violenza e il terrorismo privano decine di esseri umani della loro vita”. Forse già immaginava che, di quella stessa violenza, sarebbe stato vittima anche lui, quattro anni più tardi, quando un commando di estremisti islamici lo falciò con una raffica di proiettili davanti alla chiesa dello Spirito Santo a Mosul. Sette anni dopo, a seguito dell’invasione jihadista della Piana di Ninive, nell’estate del 2014, anche la tomba di Padre Ragheed, a Karamles, è stata fatta a pezzi dagli uomini dello Stato Islamico. I jihadisti hanno distrutto la pietra tombale sulla quale era riassunta la vita del sacerdote. “Quanto c’era scritto sopra, evidentemente, non è piaciuto ai terroristi dell’Isis”, commenta padre Rebwar. Da qui, la decisione di fissare in un libro, quello che i jihadisti “hanno provato a cancellare per sempre”. “Un progetto molto chiaro per far fuori i cristiani”“Per noi, in Iraq, il martirio è una tradizione”, spiega padre Rebwar, “siamo abituati fin da piccoli a subire minacce, discriminazioni e umiliazioni perché cristiani”. Anche la vita di padre Ragheed è stata una vita da martire. Da segretario del vescovo di Mosul e parroco della chiesa dello Spirito Santo, si misurò più volte con la crudeltà degli islamisti che già nel 2004 avevano iniziato a prendere di mira in modo sistematico le chiese e la comunità cristiana. In quell’anno, infatti, padre Ragheed scampò a due attentati, uno all’arcivescovado di Mosul e un altro nella chiesa dello Spirito Santo. Il 3 giugno del 2007, però, un gruppo di uomini armati si presentò davanti alla sua parrocchia. “Ti avevo detto di chiudere la chiesa, perché non l’hai chiusa?”, chiese a padre Ragheed il suo assassino. “Non posso chiudere la casa di Dio”, rispose il sacerdote prima di essere crivellato dai colpi di arma da fuoco assieme a quattro diaconi. “A distanza di anni gli assassini di padre Ragheed non sono stati ancora identificati”, dice padre Rebwar Basa. Nel 2007, infatti, spiega il sacerdote, non c’era l’Isis in Iraq, “ma c’era già un progetto molto chiaro per far fuori i cristiani, con rapimenti, uccisioni e attacchi alle chiese”. “Nessuno sa chi sono, nessuno li ha trovati e forse sono stati anche premiati perché questo per loro è un atto eroico”, afferma Wisam Pekandi, iracheno e amico del sacerdote ucciso. Come padre Ragheed, infatti, sono moltissimi i sacerdoti rapiti, uccisi e fatti a pezzi dagli islamisti. “Nei mercati vendevano anche i dvd con i filmati delle uccisioni”, continua Wisam. Ora tutti i “martiri iracheni”, dice padre Rebwar, “sono in attesa di un processo di canonizzazione”.L’importanza delle comunità cristiane in Medio OrientePer far sì che l’Iraq non sia più una terra di persecuzione in futuro, però, non basta sconfiggere l’Isis sul terreno. È necessario, secondo il sacerdote, che lo Stato iracheno assicuri “protezione alle minoranze, il rispetto dei diritti umani, la libertà religiosa e i diritti delle donne”. Solo così si potrà “avviare il dialogo e la pacificazione del Paese”. In caso contrario, la comunità cristiana irachena è destinata a scomparire, come è successo dopo l’invasione della Piana di Ninive da parte dei jihadisti dell’Isis. La presenza delle comunità cristiane in Medio Oriente, infatti, è “essenziale per sconfiggere e arginare il radicalismo islamico”, secondo il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, per il quale il sostegno “alla minoranza cristiana è un vaccino contro l’estremismo”. “Il tema del futuro dei cristiani in Medio Oriente”, ha detto il direttore di Acs-Italia, dovrebbe essere un “tema centrale” anche nel dibattito politico italiano, con la consapevolezza che il “riflesso della situazione in quei territori ha impatto sulla sicurezza nella vita quotidiana di ciascuno di noi”.
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