Guerra /

Cinquantatre soldati maliani ed un civile sono stati uccisi nel corso di un attacco terroristico che ha preso di mira, nella giornata di venerdì, un avamposto militare nel Mali nord-orientale. L’attentato ha avuto luogo presso la località di Indelimane, nella regione di Menaka e non lontano dal confine con il Niger. Ci sarebbero almeno dieci sopravvissuti ma la struttura delle forze di sicurezza ha subito danni significativi. Bamako ha condannato l’episodio violento che, però, va ad inserirsi in una vera e propria spirale di sangue che sta coinvolgendo la regione del Sahel. Forze radicali islamiche, legate ad Al Quaeda, avevano occupato il Mali settentrionale nel 2012 ed erano sul punto di riuscire a conquistare tutto il Paese. Solamente l’intervento della Francia, ex potenza coloniale della regione, aveva impedito che le cose volgessero al peggio respingendo le milizie. Da allora, però, diversi gruppi di estremisti islamici si sono radicati nella regione del Sahel ed hanno allargato il loro raggio di azione ad altri Stati, come il Niger ed il Burkina Faso. La porosità dei confini, i vasti spazi desertici e gli scarsi mezzi di cui godono i governi dell’area hanno facilitato l’aggravamento della situazione di sicurezza.

Le violenze non si fermano

Nessun gruppo terroristico ha rivendicato l’attacco di venerdi ma sembra ormai chiaro come il radicalismo islamico stia iniziando a divenire un problema serio per la regione del Sahel. Circa un mese fa, infatti, un altro violento assalto jihadista, presso il confine con il Burkina Faso, aveva portato alla morte di 40 soldati maliani. Le attività terroristiche si inseriscono, inoltre, in un contesto di tensioni interetniche che percorrono, ad esempio, il Mali centrale e ciò rischia di peggiorare ancora di più il quadro generale che risulta già piuttosto precario. I pericoli maggiori sembrerebbero giungere dalle attività del Gruppo di Supporto per i Musulmani e l’Islam (JNIM), nato nel 2017 ma anche gruppi affiliati  allo Stato Islamico  hanno dimostrato di essere molto risoluti nel perseguimento dei propri obiettivi. Il supporto francese ai governi della regione, attraverso la Missione Barkhane attiva dal 2014, si esplica con il dispiegamento di 4,500 soldati dediti ad attività di anti-terrorismo tanto in Mali quanto in Niger e Burkina Faso ma il problema è ormai così esteso da richiedere, probabilmente, sforzi ancora maggiori. In Mali è attiva anche la Minusma, una Missione delle Nazioni Unite, che può godere di quattordicimila effettivi mentre la G5 Sahel, una forza militare composta dalle truppe di Bamako, Niamey, Nuakchott e N’djamena, ha anch’essa lo scopo di contrastare le violenze nell’area.

Le prospettive

L’approccio militare sembra non essere sufficiente ad affrontare con efficacia il fenomeno del terrorismo nel Sahel che, non solo non è stato sconfitto ma sta mettendo in crisi la stabilità della regione. La grande povertà che attanaglia i Paesi di questa parte del mondo, di certo, gioca il suo ruolo nel facilitare il reclutamento da parte delle organizzazioni jihadiste e forme di supporto umanitario e di interventi che favoriscano l’integrazione sociale dovranno essere implementati per provare ad affrontare in maniera più efficace l’insurrezione islamista. Il timore è che l’acuirsi delle violenze possa causare danni sempre più estesi ad un tessuto locale che è già particolarmente fragile e che potrebbe collassare con facilità. La strada per la pacificazione del Sahel, in definitiva, è ancora molto lunga.

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