La serata di Baghdad è stata molto movimentata: prima la notizia di esplosioni nei pressi dell’aeroporto internazionale, poi i rumori dei caccia americani sulla capitale irachena, infine i report che parlavano di nuove esplosioni ancora una volta nei pressi dello scalo aeroportuale. Ore molto lunghe di tensione, arrivate peraltro al culmine di giornate contrassegnate dagli assalti all’ambasciata statunitense e dal botta e risposta a distanza tra Washington e Teheran sulle responsabilità di quanto accaduto nella sede diplomatica Usa. Nessuno però, al termine di un giovedì sera infuocato in una Baghdad tornata suo malgrado ad essere perno delle tensioni regionali, si aspettava un epilogo che ha tutta l’aria di un episodio drammatico per gli equilibri mediorientali: in una delle esplosioni registrate presso l’aeroporto di Baghdad, è rimasto ucciso Qasem Soleimani.

I raid che hanno ucciso il generale iraniano

La conferma della morte di una delle figure più importanti legate a Teheran, è arrivata direttamente dalla capitale iraniana: “L’atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti con l’assassinio del generale Soleimani, la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida, è estremamente pericolosa e una folle escalation”, ha dichiarato il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif. Nessun dubbio dunque sulla sorte del generale che per anni è stato il braccio proteso sul medio oriente della diplomazia iraniana. Soleimani è stato protagonista in tutti gli scenari in cui Teheran negli ultimi anni ha avuto un ruolo di protagonista. C’è anche il suo zampino nell’aiuto fornito dall’Iran al governo siriano guidato da Bashar Al Assad durante gli anni più intensi del conflitto che dal 2011 coinvolge il paese arabo. Soleimani, a capo della brigata al Quds, tra le più importanti dei Pasdaran, negli ultimi mesi si recava spesso in Iraq.

Già a novembre, quando il paese iniziava ad essere pesantemente scosso dalle manifestazioni anti governative ed in alcuni casi anche anti iraniane, diverse fonti hanno parlato della presenza di Soleimani a Baghdad. Una “consulenza” per conto di Teheran che doveva offrire al governo locale lo spunto per far rientrare le proteste in corso in tutte le principali città irachene. Era questo il compito del generale, il quale agiva per provare ad evitare il collasso di un esecutivo, quale quello iracheno, vicino all’Iran. Quelle manifestazioni stanno rischiando, alla luce dei risvolti delle ultime ore, di incidere sempre più significativamente nelle dinamiche mediorientali. In un Iraq infatti sprofondato, ancor di più, all’interno di un limbo di incertezza, nei giorni scorsi un raid americano ha colpito una base delle milizie Pmu: si tratta dei gruppi, a maggioranza sciita, che hanno lottato contro l’Isis e che sono accreditati di rapporti molto stretti con l’Iran.

Un colpo assestato in Iraq ma per colpire Teheran, all’interno di un contrasto sempre più forte tra gli Stati Uniti ed il paese guidato dagli ayatollah. Da qui si è dunque arrivati alle sopra accennate proteste davanti l’ambasciata Usa a Baghdad, con tanto di tentativo di irruzione dei manifestanti all’interno della sede diplomatica. Per Washington evidentemente un segnale di pericolo per i propri interessi nell’area. Sono quindi scattati in questo contesto i raid contro un convoglio che stava rientrando, secondo quanto riportato da fonti irachene, all’aeroporto di Baghdad. I veicoli colpiti avevano a bordo alti dirigenti delle Pmu, ma anche lo stesso generale Soleimani. L’attacco, partito nel cuore della tarda serata di Baghdad, ha ucciso il numero uno delle brigate Al Quds, assieme ad altre sette persone. Feriti anche almeno 12 soldati iracheni ed alcuni civili.

Il Pentagono: “L’ordine è partito da Trump”

Oltre ad essere noto per le sue attività militari, Soleimani era un volto popolare in tutto il medio oriente e costituiva, per i suoi estimatori, una sorta di vera e propria “leggenda”. Nei momenti più difficili per Assad durante la guerra civile siriana, bastava la diffusione di una foto scattata al fonte dove si notava la presenza di Soleimani per ridare morale alle truppe od alla stessa popolazione. Ed anche in patria ovviamente la sua figura appariva molto importante, popolare forse soltanto dopo a quella dell’ayatollah Khamenei. Questo ha contribuito anche alla sua fama di nemico numero uno degli interessi Usa nella regione, anche se in passato non sono mancati intrecci di interesse con Washington. Ad esempio, quando subito dopo la caduta di Saddam Hussein occorreva fermare le forze sciite dell’esercito del Mahdi, dagli Stati Uniti avrebbero chiesto la mediazione proprio di Soleimani.

L’uccisione del generale è dunque un colpo molto forte all’Iran, sia per la sua elevata esperienza militare e politica che, soprattutto, per quanto rappresentato dalla sua figura. Un raid volto ad eliminare Soleimani dunque, non può non aver avuto il via libera dai ranghi più alti del potere americano. Ed infatti, fonti del Pentagono, poco dopo il raid su Baghdad, hanno non solo confermato la morte di Soleimani ma anche espressamente affermato che l’ordine di colpire il convoglio sarebbe arrivato direttamente da Donald Trump: “Gli Stati Uniti continueranno ad assumere le azioni necessarie per proteggere la nostra gente e i nostri interessi ovunque nel mondo”, hanno sottolineato dal Pentagono. Dal canto suo il presidente Usa, poco dopo l’ufficializzazione della morte di Soleimani, ha lanciato su Twitter un post senza frasi ma raffigurante unicamente la bandiera americana.