Cercare di ragionare ex post sulle modalità che si sarebbero potute seguireper evitare una strage come quella del mese scorso a Bruxelles potrebbe sembrare una pratica sterile e poco elegante.

In realtà se tale riflessione portasse alla prevenzione di nuovi attacchi, di certo non si parlerebbe di passatempo inutile o fuori luogo. Se anche non si volesse credere alla possibilità di un tentativo statunitense di respingere Mosca verso est, per scongiurare un blocco euroasiatico troppo potente, sicuramente si dovrebbe fare i conti con un realtà: de facto le schermaglie tra Washington e l’orso russo non giovano, anche solo in generale, all’Unione Europea.Senza parlare dei danni economici e di cooperazione per lo sviluppo, seguìti alle sanzioni multilaterali nei confronti della Russia, questa mattina bisogna affrontare una notizia non di poco conto. Il sito Russia Today riporta una dichiarazione dell’inviato permanente presso la NATO, Aleksander Grushko, secondo la quale tecnologie atte a prevenire gli attentati sullo stile di Bruxelles sarebbero state già implementate e testate in ambito europeo.

Secondo il diplomatico, esisteva un progetto di cooperazione anti-terrorismo tra la Russia e l’alleanza atlantica. Tale progetto, seppur in fase molto avanzata, sarebbe stato abbandonato a causa della riunificazione della Crimea alla Federazione Russa, seguìta al famoso quanto controverso referendum del 2014.Il progetto rottamato dalla NATO si sarebbe basato su tecnologie estremamente sofisticate indirizzate all’individuazione di ordigni esplosivi in luoghi pubblici molto affollati. Il controllo delle micro particelle nell’aria, effettuato attraverso un sistema di analisi dello spettro delle stesse,  permetterebbe non solo di “beccare” l’esplosivo, ma anche di identificarne l’esatta collocazione. Il nome del sistema sviluppato era STANDEX (Stand-off Detection of Explosives, Rilevazione di esplosivo a distanza).

Sul sito della NATO  è ancora possibile leggere il report sulle varie sperimentazioni effettuate nelle capitali europee, documento che, a seguito delle esplosioni all’aeroporto di Zaventem, rischia di configurasi come un’autodenuncia dell’organizzazione internazionale.La NATO, fondata per controbilanciare la vicinanza geografica del mostro sovietico all’Europa, mediante l’instaurazione di una vicinanza politco-militare con gli USA, sembra non essere in grado di evolvere e di riconoscere le vere nuove minacce. In un contesto globale di insicurezza diffusa, un’istituzione internazionale di tali mezzi e prerogative dovrebbe essere in grado di settare le proprie azioni su nuovi obiettivi, e non ritornare sempre, a intervalli ciclici, al solito nemico.Il programma era stato sviluppato, a partire dal 2010, da una joint-venture di compagnie e laboratori tedeschi, francesi, danesi, italiani e russi. Il totale speso durante i quattro anni di collaborazione ammonta a 4,8 milioni di euro. Collaborazione, guarda caso, conclusasi nel 2014, proprio a causa della contesa ucraina, quando i russi sono diventati personae non gratae in Europa.

Al netto delle considerazioni politiche, quasi totalmente inutili, visto che, su scala internazionale, è impossibile far valere il peso della responsabilità politica di tante scelte miopi, forse sarebbero utili anche alcune considerazioni di ordine economico e a livello di sicurezza. Negli ultimi anni lo scenario terroristico ha conosciuto un’espansione tale, in frequenza ed intensità, da rendere ragionevole un raffronto tra danni materiali cui porre rimedio dopo un attacco e spese investite per prevenirlo. Se a qualcuno potessero sembrare tanti cinque milioni di euro spesi per garantire la sicurezza dei propri cittadini, probabilmente dovrebbe considerare tutto il danno emergente (ricostruzione di edifici, di imprese, di attività, etc.) ed il lucro cessante generati da un attacco terroristico. Senza considerare, la perdita del bene più prezioso: centinaia di vite umane.





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