Il sistema politico russo, proprio come tutti gli altri, deve necessariamente comunicare con il resto del mondo per far conoscere il proprio punto di vista. A maggior ragione adesso, nel bel mezzo di un’operazione militare in corso e un braccio di ferro energetico in arrivo.
Unione europea, Stati Uniti, Nato, Occidente; giornalisti, politici, funzionari, diplomatici. Mentre i primi sono i nuovi nemici di Mosca, i soggetti ai quali addossare colpe più o meno plausibili di quanto avvenuto in Ucraina e, più in generale, nel mondo intero, i secondi hanno invece un ruolo attivo, e sono gli uomini della propaganda di Vladimir Putin.
Da una parte, quindi, i bersagli da colpire e dall’altra i colpitori. Il meccanismo dovrebbe dare vita ad una narrazione, o meglio ad una contronarrazione, degli eventi che stanno andando in scena nel territorio ucraino (e non solo). Prima di avventurarsi oltre, è tuttavia necessario fare due premesse.
- Chi sono i soldati accusati della strage di Bucha
- Cosa si sa della “stanza della tortura” di Bucha
- L’ombra dei ceceni di Anzor Bisaev sul massacro di Bucha
La propaganda: termine neutro o negativo?
La prima: troppo spesso l’opinione pubblica occidentale demonizza il punto di vista russo bollandolo in anticipo come mera propaganda, e dunque materiale inutile ai fini della comprensione dei fatti. Certo, la visione di Mosca talvolta raggiunge livelli inaccettabili ai nostri occhi, ma altre volte pone l’accento su aspetti che sposano i valori e la concezione del mondo russo. Aspetti, va da sé, agli antipodi del nostro sistema di credenze ma utili per comprendere il punto di vista dell’altro. L’altro, in questo caso, è la Russia. E in geopolitica è fondamentale comprendere l’altro prima di avventurarsi in analisi o ragionamenti di ogni tipo.
La seconda premessa riguarda invece il termine stesso di propaganda. Europei e anglosassoni sono da sempre abituati a considerare il concetto stesso di propaganda un concetto negativo nella maniera più assoluta. Eppure, altrove, questo stesso termine risulta essere un termine sostanzialmente neutro, o comunque privo di connotati negativi. In altre parole, quella che per noi è “propaganda”, altri la concepiscono come semplice versione ufficiale del governo.
I megafoni di Putin
Tuffiamoci adesso nella propaganda russa, nel meccanismo comunicativo di Mosca che foraggia la visione del mondo di Putin e dà della guerra in Ucraina un’interpretazione sui generis. Possiamo individuare vari livelli propagandistici.
Il più basso, ma al tempo stesso il più visibile e popolare, coincide con il giornalismo. Trasmissioni, talk show, siti e giornali russi contengono chiavi di lettura volte a convincere i telespettatori russi dei mali occidentali, delle colpe ucraine e della sostanziale benevolena delle truppe del Cremlino.
Tra i giornalisti – si dice – particolarmente vicini al presidente russo troviamo Vladimir Solovev. Lo stesso che, nelle ultime ore, ha sostenuto che i fatti commessi a Bucha potrebbero essere stati organizzati dall’intelligence straniera. Lo stesso che, in merito alle sanzioni contro la Russia, aveva detto, presumibilmente rivolto verso l’Occidente, di arrotolarle e “ficcarle nel c…”.
Portavoci e funzionari
Il livello successivo è occupato da personaggi politici di vario rango e categoria. Iniziamo con i portavoci. Quello del Cremlino, Dmitri Peskov, è il megafono istituzionale del potere moscovita. Con cadenza pressoché quotidiana, Peskov enuncia i fatti del giorno – dai più semplici ai più delicati – imprimendo sopra di essi la chiave di lettura di Mosca. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, si è fatta conoscere negli ultimi tempi grazie a risposte piccate dirette quando rivolte contro gli Stati Uniti (su quanto avvenuto a Bucha, Washington pensasse prima ai crimini di guerra commessi in Jugoslavia e Iraq) quando verso Finlandia e Svezia (nel caso in cui dovessero aderire alla Nato, questo susciterebbe una seria risposta da parte di Mosca).
Quasi allo stesso livello troviamo i rappresentanti di punta dei canali diplomatici. L’ambasciatore russo all’Onu, Vasily Nebenzya, è impegnato a respingere le accuse rivolte contro l’esercito russo per rigirarle ai “nazisti” ucraini rei di massacrare i loro concittadini. Il capo negoziatore di Mosca impegnato nei colloqui con la controparte ucraina è invece Vladimir Medinsky. Già ex ministro della Cultura in Russia dal maggio 2012 al gennaio 2020 , e soprannominato da alcuni media statunitensi il “Goebbels russo” è considerato tra i promotori dell’utilizzo della storia come propaganda. “Lo Stato moderno che chiamiamo Ucraina è un fantasma storico modellato da specifiche decisioni tattiche di politici specifici in circostanze specifiche”, aveva detto due giorni prima della missione russa in Ucraina.
Politici e ideologi
Al terzo e ultimo livello – siamo ormai vicinissimi a Putin – troviamo il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e Dmitri Medvedev, l’ex presidente nonché vecchio delfino putiniano. Sopra questa piramide troviamo vari intellettuali – alcuni morti, altri ancora vivi e vegeti – che, attraverso le loro teorie geopolitiche e analisi storiche, pare abbiano fornito al capo del Cremlino l’humus culturale adatto per avventurarsi nella missione militare in Ucraina.
Da Sergei Uvarov, ministro dell’Istruzione dello zar Nicola che nel 1883 formulò la “trinità imperiale russa” (Ortodossia, autocrazia e nazione: pravoslaviye, samoderzhaviye e narodnost) che oggi regna sovrana al Cremlino, al filosofo Iván Ilyín (1883-1954) e a teorici geopolitici come Aleksandr Dugin (entrambi eredi del panslavismo ottocentesco che difese la “unità spirituale” dei popoli slavi), passando per il filosofo religioso Nikolay Berdyaev e per l’etnologo sovietico Lev Gumilev, la lista è ovviamente lunghissima. Ma, per avere una prima idea della propaganda russa, bastano questi nomi per avere un buon quadro della situazione.