“L’operazione è stato un successo e si è conclusa”. È con queste parole che il primo ministro turco Binali Yıldırım ha annunciato la fine della missione Scudo dell’Eufrate, lanciata lo scorso 24 agosto con l’intento di arginare l’influenza delle milizie curde nel nord della Siria e di ricacciare indietro i jihadisti del sedicente Stato islamico.Un’operazione durata sette mesi, iniziata con l’avanzata delle forze turche – quanto numerose non è mai stato chiarito – e delle milizie ribelli che le hanno affiancate nell’offensiva su Jarablus, arrivata a controllare circa 2000 chilometri quadrati di territorio siriano e a prendere un’altra località strategica: Al Bab, caduta dopo due mesi e mezzo di combattimenti e dove tre soldati turchi sono morti in un caso di “fuoco amico”, colpiti in un raid russo.Il fronte siriano della Turchia si è chiuso ieri sera, con la decisione del Consiglio di sicurezza nazionale, poche ore prima dell’incontro tra il presidente Erdoğan  e il segretario di Stato americano Rex Tillerson. Per ora,  senza che gli uomini di Ankara abbiano raggiunto un obiettivo su cui da lungo tempo avevano messo gli occhi, almeno stando alle dichiarazioni: la cattura di Manbij, liberata ad agosto dello scorso anno dal Sdf, coalizione di milizie in cui le “unità di difesa” curde giocano un ruolo fondamentale.A lungo la stampa turca ha scritto dell’intenzione di Ankara di prendere Manbij e di prendere parte alla riconquista di Raqqa, de facto capitale siriana dell’Isis. Fin dall’avvio dell’operazione, in cui i turchi hanno perso 67 militari, era stato chiaro che tra gli obiettivi principali di Scudo dell’Eufrate ci sarebbe stato poi il tentativo di impedire l’unione tra i “cantoni curdi” di Kobane e Afrin, ricacciando “a Est del fiume” le milizie Ypg e Ypj.A complicare le cose il sostegno garantito dagli Stati Uniti ai curdi del Pyd (Partito dell’unione democratica), in buoni rapporti anche con la Russia, ma che la Turchia considera invece una sigla terroristica, per la vicinanza con il Pkk, che combatte da tre decenni in una guerra che continua a fare vittime da ambo i lati. Il timore della Turchia è che in Siria possa nascere una regione semi-autonoma come quella curdo-irachena, con la differenza che a guidarla non sarebbe un alleato come Mas’ud Barzani.”Ogni operazione che seguirà avrà un nome diverso”, ha detto ieri in un’intervista al canale televisivo Ntv il premier turco, senza di fatto chiarire se la fine di Scudo dell’Eufrate significherà il ritiro delle truppe dal territorio siriano e che ne sarà dell’interesse della Turchia per un ruolo nell’operazione sulla capitale dell’Isis.”Dall’America arrivano voci diverse su Raqqa”, sostiene il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, citato oggi dal quotidiano pro-governativo Daily Sabah. Un punto che dovrebbe essere al centro del faccia a faccia tra le autorità turche e Tillerson, su cui pesa l’intenzione degli Stati Uniti – che non sembra in discussione – di affidarsi agli alleati curdi per strappare all’Isis la città siriana. Il tutto in un momento in cui la Turchia, che da mesi vive in stato d’emergenza, attende un referendum cruciale per il suo futuro.





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