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“Le Forze Armate turche hanno terminato tutti i preparativi” per iniziare una nuova operazione in Siria. A dare l’annuncio è il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, citato dai media di Ankara. “È tutto pronto. Quando sarà il momento, faremo tutto il necessario a Manbij e a est del fiume Eufrate”, ha concluso il ministro. Ed è un monito molto importante nei confronti delle forze curde.

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Le parole del titolare della Difesa turca arrivano a poche ore dalle dichiarazioni di Recep Tayyip Erdogan in cui il presidente turco ha confermato il piano sul nord della Siria. “Molto presto porteremo pace, stabilità e sicurezza a est del fiume Eufrate” ha detto Erdogan, dicendo che la Turchia punta “a creare le condizioni per il rientro di circa 4 milioni di siriani, per i quali abbiamo speso 35 miliardi di dollari”.

Il presidente turco, in occasione dell’incontro dell’Organizzazione per la Cooperazione dei Paesi islamici., ha rivelato la sua idea sul nord-est siriano. “Con la scusa dell’Isis sono stati armati terroristi ai quali poi è stato concesso di lasciare Raqqa. Ora vogliamo eliminarli e riportare stabilità, pace e sicurezza a est dell’Eufrate. Il nostro dialogo con Stati Uniti e Russia continua positivamente. L’obiettivo di una nostra azione è quello di garantire la sicurezza dei nostri confini e assicurare l’unità territoriale della Siria”, ha aggiunto Erdogan.

Parole particolarmente importanti perché hanno diverse chiavi di lettura. Da una parte, c’è il possibile impegno turco nella zona di Manbij e nel Rojava come conseguenza del ritiro americano dall’area e dell’impegno assunto con la Russia di una zona di sicurezza profonda alcune decine di chilometri teorizzata nell’incontro di qualche giorno fa al Cremlino. Dall’altra parte, non va dimenticato che queste parole hanno anche un uso e consumo interno, a pochi mesi dalle elezioni amministrative che possono pesare sulla leadership del presidente turco. Sono in molti, nell’opposizione, ad accusare Erdogan di aver speso troppo per i profughi siriani e che a Turchia non possa permettersi il mantenimento dei milioni di rifugiati che oggi rappresentano parte della strategia del Sultano sul nord della Siria.

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E adesso, proprio quei siriani “allevati” in Turchia da Erdogan possono far parte della seconda parte del piano turco. Dopo averli resi da fatto parte del grande progetto per il protettorato turco nel nord del Paese, i milioni di rifugiati siriani (molti con cittadinanza turca) possono rientrare in Siria e abitare le terre che un tempo erano esclusivamente curde. Un ricollocamento che ha un precedente, seppur diverso nei tempi e nei soggetti, che è quello avvenuto ad Afrin, dove i curdi sono stati spostati (o eliminati) dalla loro roccaforte per far posto alle famiglie degli jihadisti della Ghouta orientale o di altre zone riconquistate dall’esercito di Bashar al-Assad.

Ora Erdogan vuole fare lo stesso con altre aree del Paese a sud dei suoi confini per mettere finalmente in atto il piano per la “cipriotizzazione” del Nord della Siria. Un progetto che è parte delle richieste avanzate dal leader turco a Vladimir Putin durante il loro vertice a Mosca. Il presidente turco ha proposto uno scambio: la possibilità di avere il controllo dello smantellamento dei curdi nel nord-est siriano e una zona di sicurezza profonda 30 chilometri lungo i 460 chilometri del confine siriano. In cambio, Erdogan concederà Idlib alla Siria, e quindi alla Russia.

Tutto però ha un’incognita, anzi, due. La prima è legata alla presenza della Francia, preoccupata dai jihadisti detenuti nelle prigioni curde. Alcune centinaia sono pronti a essere rimpatriati in territorio francese, ma non è un mistero che Parigi vorrebbe rimanessero lì. E la presenza delle forze speciali d’Oltralpe nell’area  la dimostrazione che Emmanuel Macron vuole avere il pieno controllo dei curdi. La seconda è il ritiro degli Stati Uniti, che fino a questo momento è stato annunciato e avviato nelle prime pratiche, ma che potrebbe subire rallentamenti. Il Pentagono non vuole che gli Usa abbandonino di punto in bianco i curdi. E lo Stato islamico è pronto a risorgere e a giustificare la presenza militare americana.

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