La Germania è nella bufera ma non è ancora stata travolta. E al netto di errori, ingenuità e limiti, difficilmente questo sarebbe stato garantito se al posto della Repubblica Federale un qualsiasi altro Paese europeo si fosse trovato nella condizione di accerchiamento pressoché totale di Berlino a quasi un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina.

La grande tempesta sulla Germania

Riassumendo: in undici mesi la Germania ha visto collassare il sistema di sicurezza geoeconomico costruito in decenni. Ha visto il tracollo dell’asse energetico costruito con la Russia al netto di crisi geopolitiche e sanzioni reciproche. Si è mostrata fragile di fronte alla crisi energetica che ha mostrato i limiti del modello orientato all’export del suo sistema economico. Ha vacillato sull’orlo della crisi di nervi per il caos energetico, arrivando a falli di reazione inopportuni sulla gestione del mercato europeo del gas e ha subito una duplice crisi di legittimità.

La prima, sul fronte del potere politico interno: il cancelliere Olaf Scholz si è dimostrato fragile punto di riferimento della prima maggioranza a tre partiti (Spd, Verdi, Liberali) della storia germanica contemporanea e non all’altezza della capacità di sincretismo di Angela Merkel. La seconda sul fronte internazionale: si è frantumata l’Europa a trazione tedesca e si è accentuata la dipendenza geostrategica di Berlino da Washington.

Il ritorno della Germania nella storia ha coinciso, in tal senso, col rilancio del “senso di colpa” su cui la Repubblica Federale è rinata dopo il 1945. Ieri era il senso di colpa per la responsabilità del nazismo, oggi è l’accusa mossa alla Germania dagli alleati, Ucraina in testa, di pusillanimità per presunte ristrettezze nel sostegno a Kiev.

La Germania ieri colpevole, oggi capro espiatorio della difficoltà nel far pervenire un sostegno concreto all’Ucraina. Ieri brutale aggressore, oggi prima vittima tra i non belligeranti di una guerra in cui ha perso il suo primo aggancio energetico, Nord Stream, decine di miliardi di euro di Pil, il senso di comfort della dominazione geoeconomica in Europa, i punti di riferimento geopolitici.

Berlino, dulcis in fundo, si è vista rimbottata dagli alleati Nato in una base solo formalmente sotto la sua sovranità (Ramstein, in capo alla United States Air Force) nella riunione del Gruppo di contatto per l’Ucraina del 20 gennaio in cui si è mostrata restia a fornire i carri armati Leopard 2 a Kiev e si è vista scatenare contro, da parte degli Usa, una durissima guerra economica e commerciale sotto forma della promozione dell’Inflation Reduction Act e del Chips Act da parte dell’amministrazione Biden. La quale è riuscita, sul piano della Difesa, ad azzerare, come desiderato, l’autonomia strategica europea in campo securitario grazie al suicidio strategico di Vladimir Putin. E dopo il tramonto della “GeRussia” vuole confermare la minorità dell’Europa anche in quei campi in cui la capacità organizzativa, industriale e scientifica di Berlino possono fare la differenza: automotive, transizione energetica, alta tecnologia, ricerca di frontiera.

Il nuovo ruolo della Germania in Ucraina

Il futuro ruolo della Germania in Ucraina non potrà essere scisso dal suo duplice ruolo di Paese chiave tanto per la Russia quanto per gli Stati Uniti nella grande strategia europea. Berlino è la nazione vista come traditrice da Mosca, che non può negare i miliardi di euro dati in armi all’Ucraina, il ruolo oltranzista sull’energia russa dei ministri Verdi Robert Habeck e Annalena Baerbock, la schietta e chiara volontà di Scholz di promuovere una strategia “egemone” per l’Ucraina del dopo-guerra. Ma la Germania è anche vulnerabile al rilancio della massima pressione Usa, che mira a sostanziarsi nell’egemonia sull’Impero europeo dell’America, come lo ha definito Lucio Caracciolo su Limes, prima che la maturazione strategica di Berlino crei un ruolo ad hoc per il Paese centrale d’Europa.

Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, il ministro della Difesa dell’Ucraina, Oleksii Reznikov e il segretario della Difesa Usa, Lloyd Austin, durante il summit a Ramstein del 20 gennaio 2023. Foto: EPA/RONALD WITTEK.

La Germania è pivot strategico, bersaglio e Stato decisivo. Potere frenante contro la totale escalation militare contro Mosca, preludio del punto di non ritorno, ma anche Paese più vulnerabile al ricatto energetico russo, almeno nel 2022. Nazione fondamentale per la ricostruzione futura dell’Ucraina e la sua adesione all’Unione Europea, ma anche per le forniture di armi odierne, che hanno nei carri armati Leopard 2 il nuovo pomo della discordia. Il suo ruolo futuro non potrà che essere quello del pendolo tra scelta di campo e interesse nazionale, in un contesto che vede il Paese al bivio tra tre necessità. Prima fra tutte, le prescrizioni del vincolo atlantico sul sostegno all’Ucraina. Seconda, la corsa al riarmo lanciata da Scholz a fine febbraio che assorbe risorse e programmazione politica. Terza, la difesa dell’economia dalle intemperie legate alla crisi del modello export-oriented.

Coniugare tutte e tre le necessità sarà impossibile, e Scholz dovrà scegliere tra al massimo due di queste. Consapevole che, come ha scritto il Council on Foreign Relations, le aspettative sulla Germania sono alte: “La Germania non sta ancora assumendo un ruolo di leadership nella sicurezza europea. Ciò erode la fiducia tra i suoi vicini orientali e si sottrae all’obbligo della Germania, in quanto Paese più potente d’Europa, di proiettare ordine e stabilità nella regione”. E qua si apre un altro dilemma: Paesi vicini alla Germania come la Polonia competono con Berlino per essere i nuovi punti di riferimento regionali della Nato e gli egemoni di prossimità per l’Ucraina. Al contempo, pressano Berlino affinché sia più assertiva con Kiev e ne temono protagonismi geopolitici.

Parimenti, la Germania è realista sull’esito della guerra in Ucraina e colpita laddove era più resistente, ovvero sulla capacità di promuovere concordia e cooperazione attraverso forza diplomatica e commercio, non vuole tuffarsi nel furor bellico. Scholz è consapevole che la parte aggredita difficilmente potrà vincere la guerra sul campo, dato che come ricorda Gis Report “l’offensiva ucraina si è bloccata nel tardo autunno”. Al contempo “i depositi di armi si stanno svuotando. I paesi della Nato stanno trovando sempre più difficile colmare le lacune mentre continuano gli attacchi missilistici contro le forniture ucraine di elettricità e gas. La Russia cercherà di proteggere i territori catturati schierando formazioni appena mobilitate e concentrando le unità meglio addestrate e temprate dalla battaglia in prima linea”.

Berlino non vuole, sul piano militare, usare Kiev come strumento di guerra ibrida e come mezzo per obiettivi di contenimento più ampio a Mosca, come Usa e Regno Unito. Né, come Polonia e Baltici, per valorizzare il suo ruolo nella Nato. Al contempo, però, sta diversificando dalla Russia sul fronte energetico e rivendica la necessità di una nuova rotta politica. Il suo ruolo di ago della bilancia, ora come ora, non viene capito. Ma potrà tornare decisivo dopo un’eventuale campagna di primavera quando ci sarà bisogno, con ogni probabilità, di mediazioni e perni diplomatici. Berlino non vuole rompere i ponti in alcuna direzione e sa che dover gestire la tempesta geopolitica a Est e la parallela guerra economica a Ovest crea il rischio di uno schiacciamento su due fronti da cui può provenire una crisi di sistema e una profonda recessione. Vero incubo per la nazione centrale d’Europa.

Il vero tema è la leadership

Quello che si può rimproverare a Scholz, in quest’ottica, è il vuoto di leadership. L’incapacità di affermare, specie all’inizio della guerra quando anche Emmanuel Macron era di questo avviso, la necessità di una via originale e sistemica sul fronte europeo. La riluttanza a riconoscere che la crisi ucraina sia, prima di tutto, una crisi europea, che demolisce quegli Accordi di Minsk che furono il canto del cigno della diplomazia veterocontinentale e trascina l’Ue nella tempesta perfetta in campo economico e geopolitico.

Errore gravissimo per un Paese abile a gestire il contingente e l’ordinario ma a cui, nella storia, gli imprevisti, gli accidenti della Storia, hanno sempre creato problemi e deviazioni di rotta. I sedici anni di Angela Merkel erano stati, al netto delle crisi, ovattati dalla presenza di un centro decisionale coerente e non spaccato al suo interno. Scholz in pochi mesi ha perso ogni illusione di poter essere “La Cancelliera” 2.0. Ma la portata della crisi di sistema avrebbe affossato chiunque. La Germania è come un pugile suonato, barcolla ma non cade a terra. Il suo ruolo di potenza ragionevole contro i colpi di testa di una parte e dell’altra sull’Ucraina attende di essere valorizzato.

Le sue risposte alla guerra economica americana, sull’altro fronte, iniziano a prendere forma sotto forma di Fondo sovrano europeo in risposta all’Ira. L’obiettivo è riconquistare la centralità perduta, partendo dall’economia. E dando tempo agli ambiziosi programmi di riarmo e rilancio delle forze armate di sdoganarsi. Per contare, una volta per tutte, di più. Non solo come mercato, ma anche come potenza compiuta: questo quello che deve accadere perché la Germania di Scholz eviti di trovarsi in terra infedelium anche nei prossimi anni.

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