Le truppe russe sono in Kazakhstan per sostenere il governo del Paese e reprimere le rivolte. Il ministero della Difesa di Mosca ha comunicato che il 7 gennaio 12 aerei, Il-76 e An-124, sono decollati dalla base di Chkalovsky diretti verso gli aeroporti di Almaty e Zhetigen. Il loro è un carico prezioso, fondamentale per Nur Sultan così come per la strategia di Mosca: uomini e mezzi che saranno dispiegati in quelle infrastrutture che Russia, Kazakistan e l’alleanza dei Paesi dell’ex spazio sovietico ritengono sia opportuno blindare da eventuali fuochi della rivolta.

Da Mosca hanno ribadito che i “peackeepersnon saranno impiegati nel reprimere la guerriglia urbana, ma solo per proteggere siti strategici, in particolare gli aeroporti. Ma il rischio, per molti osservatori, è che questo schieramento di truppe sia un gioco d’azzardo del Cremlino: l’eventualità di scontri tra i soldati russi e le frange più violente della protesta potrebbe imporre un’ombra su tutto l’intervento della Federazione nel Paese asiatico. Con il rischio che il primo scontro a fuoco possa rendere quell’aiuto richiesto dal governo per “reprimere il terrorismo” un vero e proprio intervento armato assimilabile ad altre operazioni di Mosca.



Le prime mosse definite da Vladimir Putin segnano in ogni caso un approccio molto netto da parte del Cremlino. La Russia ha scelto di inviare in Kazakistan gli uomini della 45esima brigata aviotrasportata, gli Spetsnaz, e contingenti provenienti dalle basi di Ivanovo e Ulyanovsk, sempre delle forze aviotrasportate. Qualche osservatore segnala che potrebbero esserci anche gli uomini 76esima.

A guidare le operazioni è il generale Andrei Serdyukov, comandante delle truppe d’élite delle forze aviotrasportate di Mosca. Classe 1962, Serdyukov è stato già comandante in Crimea e in Siria. E non è un caso che ora sia lui a guidare la prima operazione militare attivata dall’Organizzazione di sicurezza collettiva grazie all’attivazione dell’articolo 4 (una richiesta formale di intervento pari a quella dell’articolo 5 del Trattato Nato). Agli ordini del generale Serdyukov, attualmente vi sarebbero 2500 soldati russi, 500 bielorussi e alcune centinaia di uomini in arrivo da Armenia, Tagikistan e Kirghizistan. Un numero non particolarmente ampio, segno che comunque l’alleanza non vuole dare l’impressione di un’operazione militare a largo spettro. Tuttavia, sono in molti a credere che la missione kazaka sia qualcosa in più di una semplice “operazione antiterrorismo”, ma sia invece il segnale inviato da Mosca per una netta presa di posizione nei confronti dell’eventualità di un regime change a Nur Sultan.

Il sospetto nasce soprattutto dalla scelta degli uomini e del comandante per questa missione. È chiaro che il Cremlino non voglia commettere errori né impegnarsi in una campagna che rischi di screditare l’immagine di Mosca all’interno dello spazio post-sovietico. Ma il fatto che sia stato scelto il comandante che guidava le operazioni in Crimea e la decisione di inviare uomini già intervenuti in passato nella penisola annessa alla Russia e in altre operazioni come in Caucaso fa credere agli analisti che quella di Mosca sia più di una mossa volta a sedare le rivolte e a sostenere un esecutivo alleato in serio pericolo di sopravvivenza. La nomina di Serdyukov, gli Spetsnaz e le colonne di blindati fanno avvicinare questa missione più a una tipica operazione di “contro-insurrezione” o una “guerra contro-irregolare”, come la chiamano alcuni analisti. Una cosa ben diversa sia dalle missioni in cui sono operativi gli uomini della Wagner, sia da quelle in cui si pensa a un semplice sostegno alla sicurezza delle infrastrutture. L’approccio russo in Kazakistan sarebbe in linea con una serie di campagne già messe in atto negli ultimi decenni e confermerebbe un cambio di strategia di Mosca, in cui le forze speciali e a dispiegamento rapido sono sempre operative in caso di crisi dello spazio post-sovietico.





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