Tre soldati americani delle forze speciali uccisi, altri due sono rimasti feriti. È questo il bilancio dell’imboscata subita da Al Qaeda nel Maghreb in Niger durante un’operazione di pattugliamento con le truppe locali. La notizia non è stata subito confermata dal Pentagono, che ha voluto mantenere il silenzio, ma è trapelata da New York Times e Cnn. Il Comando americano per l’Africa, con sede in Germania, ha parlato soltanto di una pattuglia congiunta nigerina e americana che era finita sotto il fuoco ostile nel sudovest del Paese, ma che stavano ancora “lavorando per confermare i dettagli dell’incidente”. Nell’attacco sarebbero caduti anche alcuni soldati dell’esercito locale. Secondo le fonti statunitensi, l’agguato sarebbe avvenuto a circa 200 chilometri a nord della capitale Niamey, al confine con il Mali. La regione è nota per essere una delle centrali di Al Qaeda nel Maghreb islamico, tra le organizzazioni più pericolose del terrorismo islamico e da anni nel mirino non solo delle forze statunitensi, ma anche di tutte le forze europee presenti nel Sahel. Le forze americane si trovano in Niger formalmente allo scopo di addestrare l’esercito nazionale nella lotta contro il terrorismo e per dare sostegno all’intelligence e alle missioni di pattugliamento. Ma, come sempre in questi casi, c’è un sistema operativo che sembra andare ben al di là del semplice supporto logistico e di intelligence.
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Gli Stati Uniti d’America sono impegnati attivamente a sostegno delle forze africane che combattono contro il terrorismo islamico in Africa centrale e in tutta la fascia del Sahel. Dal Corno d’Africa all’oceano Atlantico, i reparti speciali Usa sono continuamente operativi in vari teatri di guerra, e questi morti sarebbero i primi caduto statunitensi in missione nell’area. Il Niger è uno dei Paesi chiave di questa guerra, dove tra l’altro sono impegnati attivamente anche i reparti francesi, che da molti anni coordinano una delle più importanti operazioni militari all’estero, l’operazione Barkhane, che vede impegnati più di 4mila soldati dell’esercito di Parigi. Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) – che opera nella zona di confine tra Mali e Niger – è uno dei motivi principali della crescita del numero di missioni militari nel continente africano da parte dell’Occidente. Nata negli anni Novanta con il nome di “Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento”, il suo scopo primordiale era quello di impegnarsi nell’ambito della guerra civile algerina con lo scopo di rovesciare il governo laico e sostituirlo con uno Stato confessionale islamico. Uno dei fondatori è l’algerino Amari Saifi, detto anche Abderrezak le Parà, poi catturato nel 2004 nel nord del Ciad. Nel 2005 il gruppo si è affiliato ad al-Qaeda, cambiando nome e diventando quindi la colonna portante di Al Qaeda nel Maghreb. Dal 2012, Aqmi è uno degli elementi principali che combatte nella guerra civile che insanguina il Mali e che ha portato al tentativo d’indipendenza del nord del Paese, l’Azawad, abitato prevalentemente dalla componente tuareg. I gruppi tuareg hanno assunto negli anni una condotta vicina al terrorismo islamico, sia per motivazioni politiche e culturali, sia, in particolare, per ragioni di natura economica. Privati delle loro terre e soprattutto di molte materie prime, circondati dalle forze di terra europee e africane, i miliziani tuareg hanno visto nell’affiliazione allo jihadismo una via per ottenere denaro e per la sopravvivenza.
L’attuale comandante in capo dell’Aqmi sarebbe di nuovo un algerino: Abdelmalek Droukdel, dell’ex leader iracheno di al-Qaeda, Abu Musab Al-Zarqawi. Secondo il dipartimento di Stato americano, Al Qaeda nel Maghreb conta su una rete abbastanza vasta di miliziani e su una galassia di sigle affiliate ad essa che la rendono un vero e proprio esercito del terrore, seppur non comparabile, nei numeri, a quello che era il Califfato di Siria e Iraq. Attualmente sarebbero circa un migliaio i terroristi in Algeria e vi sarebbero altrettanti jihadisti sparsi in cellule minori in molti altri Paesi, tra i quali Ciad, Mali, Mauritania, Niger, Tunisia e Libia. Molto spesso, si sono spinti anche oltre alla fascia di loro competenza, tra i casi più recenti, l’attentato del 13 marzo 2016 in Costa d’Avorio, in cui rimasero uccise 18 persone.