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Per capire quali siano le priorità della politica estera statunitense ancora oggi è necessario guardare a quei settori dove vengono dispiegati gli strumenti centrali della loro capacità di proiezione di forza: le portaerei.

Questo mese sta vedendo, dopo tre anni, lo schieramento contemporaneo di tre unità di questo tipo nel Pacifico Occidentale, ovvero nell’area di operazioni della Settima Flotta.

La Uss Ronald Reagan (Cvn-76), ha lasciato il suo porto di stanza in Giappone, Yokosuka, lo scorso 8 giugno insieme alla sua scorta, composta dal Destroyer Squadron 5, e con a bordo i velivoli del Carrier Air Wing (Cvw) 5, diretta verso sud. In questo momento si trova al largo dell’isola di Okinawa dove, probabilmente, effettuerà manovre aeronavali congiunte insieme a due bombardieri B-52H nel tratto del Mare delle Filippine compreso tra l’isola nipponica e quella di Taiwan.

I due bombardieri sono decollati dalla base di Eielson (Alaska) e al termine delle esercitazioni ritorneranno direttamente in patria, nella base di appartenenza del Secondo Stormo di Barksdale (Louisiana), seguendo una rotta che li porterà a sorvolare il Pacifico del Nord. Lungo quella rotta, ormai regolarmente battuta dei bombardieri Usa, la difesa aerea russa è costantemente attiva per intercettare i velivoli americani: nei giorni scorsi (il 17 giugno) aerei Su-35, Mig-31 e Su-30 sono decollati per scortare quella che probabilmente era una seconda coppia di B-52 decollati sempre dalla base in Alaska.

Nello stesso tempo in cui la Ronald Reagan sta incrociando nelle acque settentrionali del Mar delle Filippine, altre due portaerei, la Uss Nimitz (Cvn-68) e la Uss Theodore Roosevelt (Cvn 71), ed i loro gruppi navali di scorta (rispettivamente il Carrier Strike Group 11 e 9) sono impegnate in manovre congiunte nel settore meridionale dello stesso tratto di mare.

Come si legge nel comunicato stampa ufficiale della Flotta del Pacifico Usa “durante le operazioni in mare gli strike group effettueranno esercitazioni di difesa aerea, sorveglianza marittima, rifornimento in mare, bombardamenti a lungo raggio, intercettazioni e altre manovre”. Lasciando intendere anche che forse i B-52 non si limiteranno a operare con la Ronald Reagan ma effettueranno delle puntate verso le altre due unità per fungere da “intrusi” e permettere ai caccia imbarcati di esercitarsi nelle manovre di intercettazione. Il comandante del Csg 9, il vice ammiraglio Doug Verissimo, para di “una grande opportunità per noi di addestrarci insieme in un complesso scenario. Lavorando in questo modo miglioreremo le nostre capacità tattiche e la prontezza in una regione sotto pressioni crescenti e in periodo di Covid-19”.

Sempre nei giorni scorsi, e sempre nello stesso braccio di mare, si è assistito ad una scena inusuale: un sommergibile da assalto classe Los Angeles, l’Uss Asheville (Ssn 758) ha navigato in emersione di conserva alla nave ammiraglia della Settima Flotta, la Uss Blue Ridge (Lcc 19). L’operazione aveva lo scopo di “addestrare l’equipaggio a familiarizzare con le unità sottomarine”, come affermato dall’ufficiale in comando alle operazioni subacquee della Settima Flotta, il comandante Rogert Gore, ma non è davvero una scena che si vede spesso quella di un sottomarino nucleare in navigazione in emersione durante delle operazioni simili.

Esiste pertanto un fil rouge che collega le operazioni delle portaerei, dei bombardieri, e delle unità subacquee della Us Navy nel Pacifico Occidentale, ed è quello di dare una dimostrazione di forza alla Cina e contemporaneamente rassicurare i propri alleati e partner nell’area. Il principio che regola la dottrina statunitense è sempre lo stesso dai tempi della Guerra Fredda ed è stato ribadito una volta di più dalla Us Navy: in qualità di nazione che si affaccia sul Pacifico e in qualità di leader dell’area pacifica, gli Stati Uniti perseguono l’interesse nazionale di mantenere la sicurezza e la prosperità, la volontà di risolvere le dispute pacificamente, di mantenere linee commerciali aperte, e di controllare il rispetto della libertà di navigazione e sorvolo attraverso i domini condivisi dell’area indo-pacifica.

Quella in atto, in quel settore del globo, è fondamentalmente un’escalation americana: Washington a seguito della nascente potenza navale cinese, che proprio recentemente si è dotata della seconda portaerei (la Shandong) che a fine maggio scorso ha cominciate le prove in mare, è tornata ad interessarsi attivamente al settore del Pacifico Occidentale, che era stato un po’ “perso di vista” dalle precedenti amministrazioni che hanno preferito concentrarsi sugli schwerpunkt di interesse nazionale sostenendo gli alleati nell’area con fondi e con la vendita di armamenti. La Casa Bianca negli ultimi anni ha dato una svolta profonda con una inversione di tendenza che ha portato alla nascita della Indo-Pacific Deterrence Initiative, sulla falsa riga dell’Edi, la politica di sostegno militare all’Europa con la finalità di “contenere” la Russia.

La stessa postura americana nei riguardi di quello che è il fronte caldo principale del Pacifico Occidentale, il Mar Cinese Meridionale, è mutata a favore di un impegno più attivo, con le prime missioni di scorta ravvicinata agli assetti navali di ricerca di idrocarburi che operano nell’area contesa.

Sebbene oggettivamente la Cina non sia ancora una potenza navale globale con lo stesso peso e capacità di proiezione di forza che hanno gli Stati Uniti, Washington non intende cedere terreno, soprattutto in questo periodo pandemico, anche per dimostrare ai suoi alleati di essere presente ed efficiente per garantire la loro sicurezza.