L’esercito cinese sembrerebbe in ritardo in termini di modernizzazione rispetto all’aeronautica e alla marina, ma sono comunque stati fissati obiettivi di meccanizzazione e informatizzazione del campo di battaglia e di avanzati sistemi e procedure di comando/controllo. Secondo le stime degli analisti occidentali, attualmente solo la metà delle unità dell’esercito cinese sarebbe effettivamente pronta al combattimento. Si sono infatti palesate debolezze critiche nei settori di comando/controllo, logistica e comunicazioni, che hanno imposto riforme tendenti a cambiare le strutture organizzative e operative unitamente alla fornitura di materiali moderni. Sono stati introdotti in servizio i carri armati ZTZ-96A (un carro di seconda generazione aggiornato) e ZTZ-99A2. Altro mezzo importante il ZBD-04A, un veicolo da combattimento per la fanteria con capacità di operare autonomamente o congiuntamente ad altri corazzati. Un altro veicolo blindato da combattimento , ma a otto ruote, è il ZBL-08.
Continua, inoltre, la produzione di moderni sistemi d’artiglieria e sistemi lanciarazzi multipli. Infatti l’artiglieria è la componente chiave delle capacità d’attacco dell’esercito cinese, e conta più di un terzo delle unità operative dell’esercito. I suoi più recenti sistemi rispondono alle necessità di mobilità, potenza di fuoco e supporto alle forze d’attacco.
I pianificatori militari cinesi hanno riconosciuto l’importanza di sviluppare elevate capacità di intervento e dispiegamento di vasti contingenti in complessi scenari operativi, ma nonostante gli innegabili miglioramenti la Cina non possiede ancora una capacità di proiezione simile a quella degli Stati Uniti.
La Cina continua la ricerca, lo sviluppo e la produzione di nuove armi nucleari. Nell’arsenale cinese vi erano anche testate nucleari vecchie di decenni che sono state sottoposte a controlli, manutenzione e interventi di routine per mantenere efficacia e sicurezza, e recentemente sono stati introdotti miglioramenti tecnologici per l’aggiornamento dell’arsenale strategico nucleare in termini di sopravvivenza, precisione e velocizzazione delle procedure di lancio. La Cina sta anche sviluppando una nuova generazione di vettori nucleari mobili dotati di testate multiple, destinati ad incrementare il deterrente strategico. L’obiettivo è anche quello di migliorare l’integrazione delle sue forze missilistiche strategiche assegnate alle varie forze armate. Non a caso nel 2017 è stata riassegnata all’aeronautica la missione nucleare, con lo sviluppo di un nuovo bombardiere strategico. Sarebbe così disponibile un credibile trittico nucleare con testate disperse tra terra, mare e aria per incrementare la sopravvivenza e la deterrenza dell’elemento strategico nucleare.
L’aviazione militare cinese
Quando durante gli anni ’90 la Cina iniziò lo sviluppo di velivoli dell’ultima generazione, le sue capacità erano scarse e la sua esperienza era limitata all’elaborazione di progetti sovietici degli anni ’70-’80. La ragione di ciò risiede nell’arretratezza dei piani di sviluppo tecnologico del passato e in alcune errate pianificazioni, nel suo isolamento internazionale, e ad alcune scelte di politica strategica come un’attenzione principalmente rivolta verso le forze strategiche nucleari.
Tutto ciò ha imposto la scelta di un moderno know-how nel settore per poter iniziare progetti realmente avanzati. A questo proposito non va dimenticato che una delle attività principali dell’intelligence cinese, sarebbe lo spionaggio teso ad acquisire tecnologie militari all’estero, con un impegno particolare nello spionaggio informatico che risulta essere il più praticato rispetto a qualsiasi altro paese. L’attività sarebbe diffusa al punto tale che i servizi occidentali ritengono che diverse centinaia di aziende possono essere state colpite da violazioni di dati sensibili riconducibili alle attività cinesi. Tra il 2007 e il 2011 hacker facenti capo al governo cinese sono riusciti a violare i server del Pentagono e hanno ottenuto dati, progetti e schemi (anche se parziali) e altre informazioni sensibili su progetti stealth statunitensi. Nel 1999 la Cina è riuscita ad ottenere sistemi avionici e resti di un F-117 abbattuto in Serbia, cercando di effettuare processi di reverse engineering dai resti esaminati. Da non trascurare il fatto che la Cina ha anche reclutato ingegneri che avevano precedentemente lavorato in aziende aeronautiche occidentali , e ha beneficiato di trasferimenti tecnologici del settore (turbo fan dalla Rolls-Royce negli anni ’70) e, più recentemente, avionica e radar avanzati da Israele. Grazie ad accordi con il Pakistan, la Cina ha anche ottenuto l’accesso alle tecnologie dei caccia F-16.
Va ricordato anche l’accordo con la Russia per la produzione su licenza del velivolo di quarta generazione Sukhoi Su-27 (denominati in loco J-11), che ha consentito di acquisire conoscenze anche nel settore dei materiali compositi avanzati. Tutti questi trasferimenti di tecnologie avanzate (leciti e non) e la spinta tecnologica imposta al paese farebbero ipotizzare un know-how tale da consentire il progetto di un velivolo avanzato di ultima generazione. Tuttavia persistono delle ombre e il progetto e lo sviluppo del velivolo J-20 è emblematico da questo punto di vista. L’avvio del programma J-20 per un velivolo di quinta generazione ha costituito un enorme sforzo per la Cina, ma tutt’oggi persistono alcuni dubbi sulle sue performance: fonti anonime cinesi hanno ammesso uno sviluppo un po’ frettoloso del velivolo per far fronte alle crescenti tensioni nel Mar Cinese Meridionale, nonostante alcune lacune palesate dalla macchina e una valutazione complessiva che lo renderebbero comunque inferiore ai pari classe occidentali e russi. In particolare si sarebbero palesati errori di progettazione delle zone laterali e posteriore che ne riducono notevolmente sia le caratteristiche stealth che la rilevabilità all’infrarosso. Inoltre la Cina ha incontrato enormi problemi nella progettazione di moderni propulsori turbofan in grado, tra l’altro, di conferire capacità di supercruise.
Secondo molti osservatori questo problema rappresenta l’effettivo tallone d’Achille dell’industria aeronautica cinese, debolezza che ha imposto una serie di compromessi. Infatti sui primi prototipi si è ricorso a motori russi (tipo AL-31), e successivamente sono stati installati motori indigeni afflitti dalle scarse prestazioni. Questa soluzione era da considerarsi temporanea in attesa dello sviluppo dei propulsori originariamente previsti, ma i problemi sono stati molteplici, inclusa un’esplosione al suolo durante una serie di test. Nel novembre 2018 la Cina ha nuovamente installato motori russi su tre dei quattro prototipi mostrati al China Airshow di Zhuhai, segno che i propulsori locali non sono considerati per nulla affidabili.
Tutti questi problemi mettono in discussione la convinzione che la Cina abbia colmato il gap tecnologico-militare con l’industria aerospaziale occidentale. Si consideri che nel quinquennio 2010-2015 sono stati spesi 22 miliardi di dollari solo per questi propulsori, ma i problemi sono continuati fino al 2019 e non si fanno ipotesi su quando questi motori saranno realmente operativi. Anche con la produzione su licenza di velivoli Sukhoi si sono registrati problemi molto seri, al punto che i propulsori richiedevano una revisione ogni 30 ore di funzionamento in luogo delle 400 previste. Varie macchine sono state protagoniste di incidenti in seguito a problemi tecnici, e se si riscontrano problemi molto seri nel costruire un velivolo su licenza è possibile immaginare le difficoltà con un velivolo più avanzato da progettare autonomamente.
Gli esperti militari concordano nell’indicare un altro ritardo della Cina in un ulteriore aspetto chiave dei moderni velivoli da combattimento: l’avionica di bordo, in particolare relativamente all’integrazione tra sistemi e alla sensor fusion. Secondo alcuni media specializzati cinesi il J-20 deve anche affrontare problemi di affidabilità con il software di controllo del volo: la complessità del software di controllo del volo oggi è elevatissima e impone un’affidabilità assoluta, dato che in caso di problemi non vi sono alternative alla perdita del velivolo.
La marina
La marina cinese ha fatto notevoli progressi sia con le unità di superficie sia con la flotta subacquea. In particolare sono stati acquistati dodici sottomarini a propulsione convenzionale dalla Russia (classe Kilo a partire dalla metà degli anni ’90) e sono previsti quattro sottomarini sviluppati in Cina. Questi ultimi includono un sottomarino a propulsione nucleare classe Jin (tipo 094, armato con missili balistici JL-2 con 7400 chilometri di gittata) e un sottomarino nucleare d’attacco classe Shang (tipo 093). Inoltre è previsto lo sviluppo di un sottomarino classe Song (tipo 039). Sebbene questi programmi riflettono un netto incremento della flotta sottomarina con una forza letale di missili balistici, permane tuttora una dipendenza dal supporto tecnologico offerto dalla Russia per interi aspetti ingegneristici della progettazione.
La flotta potrà presto disporre di tre portaerei, delle quali due già operative (la Liaoning di origine ex-sovietica, e una di progettazione locale tipo 002). Le ambizioni a lungo termine comprendono anche due portaerei a propulsione nucleare, al fine di formare due gruppi d’attacco in grado di operare nel Pacifico e altri due gruppi nell’Oceano Indiano, conferendo ulteriori capacità operative nella guerra di superficie. Si può ipotizzare che i gruppi d’attacco siano formati ognuno da una portaerei e circa otto o dieci unità di scorta, tre sottomarini d’attacco e un certo numero di navi di supporto. Nerbo delle unità di scorta dei nuovi gruppi d’attacco saranno i cacciatorpediniere tipo 55 (classe Renhai). Il primo è stato varato nel 2017 e l’ingresso in servizio è previsto per il 2019, e sarà seguito da almeno altre otto unità gemelle attualmente in costruzione. Queste nuove navi hanno un dislocamento superiore alle 10.000 tonnellate, e possono trasportare missili da crociera e anti-nave con la possibilità di accogliere nuovi sistemi d’arma una volta che questi saranno disponibili. L’armamento missilistico si basa su otto tipi diversi (tra cui il recentissimo missile antinave YJ-18) lanciabili da due complessi verticali per un totale di 112 celle di lancio.
I dati diffusi sull’elettronica di bordo fanno ipotizzare che le unità classe Renhai siano, almeno dal punto di vista dei sensori, meglio equipaggiate dei pari classe americani, ma per una valutazione corretta bisognerebbe sapere se i cinesi dispongono di un sistema integrato di combattimento paragonabile alle versioni più recenti del sistema AEGIS imbarcato sulle più recenti unità della US Navy. Viste le dimensioni di queste navi, esse potranno ospitare due elicotteri Z-18. Le valutazioni operative di queste nuove grandi unità costituiscono un’ulteriore dimostrazione dei progressi cinesi nei vari settori della tecnologia militare, eguagliando, e forse superando, quelle capacità che un tempo erano esclusivo appannaggio dei paesi occidentali e della Russia. Prosegue, parallelamente, la costruzione dei cacciatorpediniere Luyang III e delle fregate classe Jiangkai e Jinagdo.
Il segmento spaziale
Nel rinnovo globale del suo strumento militare, la Cina non poteva esimersi dal riservare particolare attenzione ai satelliti (importante la realizzazione del sistema di navigazione satellitare Beidou) e al predominio nello spazio per il mantenimento delle proprie capacità satellitari in condizioni di crisi e/o conflitti: anche i pianificatori militari di Pechino ipotizzano in caso di conflitto operazioni militari (più o meno limitate) con lo scopo di distruggere o neutralizzare i satelliti nemici proteggendo, al tempo stesso, i propri . Nonostante gli indubbi progressi anche nel settore spaziale, la Cina è molto meno dipendente dai satelliti per le proprie attività rispetto ai Paesi occidentali, e sta incrementando alcuni processi tecnologici quali la resistenza al jamming, l’analisi dei dati in tempo reale tramite algoritmi complessi, la capacitò di trasmissione ad ampio spettro.
Ma nonostante ciò, il livello tecnologico dei satelliti cinesi sembra essere nettamente inferiore a quello occidentale, e questo spiega perché la Cina sia interessatissima all’acquisizione di nuove tecnologie relative ai radar ad apertura sintetica (SAR) e all’elaborazione di segnali complessi in tempo reale, senza i quali non è possibile sviluppare efficienti armi anti-satellite. Queste necessità si sono acuite a partire dal 2009 dopo il fallimento legato alla realizzazione dell’antenna ad alte prestazioni di un sistema SAR da installare sui satelliti.
Alcuni analisti cinesi ritengono che con la continua crescita della dipendenza delle operazioni militari dei Paesi occidentali dai satelliti, attaccare questi sistemi in caso di conflitto rappresenta un’opzione altamente attraente. Per questi motivi gli analisti occidentali sono molto preoccupati dai programmi di Space Warfare portati avanti dai cinesi. Infatti, la Cina ha già sviluppato sistemi laser in grado di accecare i sensori dei satelliti GPS, non a caso favorendo la ricerca nel settore dei laser di potenza al punto che, secondo diverse fonti, è possibile che già attualmente Pechino disponga di un laser con base a terra in grado di intercettare veicoli spaziali. Inoltre, agli inizi del 2007 la Cina ha distrutto un proprio satellite meteorologico non più operativo orbitante alla quota di 865 km. Anche i rapporti dei servizi di controspionaggio occidentali sono spesso incompleti in materia, e il mondo spaziale cinese è un settore pieno di luci e ombre, ma comunque sulle reali capacità ASAT (Anti-Satellite ATtack) dei cinesi permangono molti interrogativi, considerando il gap tecnologico e la mancanza di alcune tecnologie fondamentali per simili programmi (in particolare in riferimento alle capacità di signal processing in tempo reale e alle capacità di rilevamento/inseguimento del bersaglio).