“A partire dal 21 novembre 1962 le guardie di frontiera cinesi cesseranno il fuoco lungo tutto il confine sino-indiano. A partire dal primo dicembre 1962 le guardie di frontiera cinesi si ritireranno in posizioni situate 20 chilometri dietro la linea di controllo effettivo che esisteva tra Cina e India il 7 novembre 1959”. Era il 21 novembre del 1962 quando la Cina annunciò il cessate il fuoco unilaterale della guerra sino-indiana, iniziata il 10 ottobre dello stesso anno. Il governo cinese aveva appena messo sul tavolo la sua offerta, e questo nonostante i cinesi fossero riusciti a sconfiggere militarmente i rivali.

Tra Pechino e Delhi, non essendo stata ancora firmata una vera e propria pace, la guerra non è tecnicamente ancora conclusa. Da 60 anni l’equilibrio tra i due giganti asiatici si regge infatti soltanto su un armistizio. Nel frattempo, le parti in causa non hanno mai smesso di lanciarsi velenosi attacchi, con l’India che accusa la Cina di avere occupato quasi 40mila chilometri quadrati del proprio territorio, e la Cina che invece rilancia e ne rivendica 90mila di chilometri quadrati, e cioè l’intero Stato di Arunachal Pradesh. Oggi la Repubblica Popolare Cinese non è più il timido Paese del terzo mondo che, attraverso l’ideologia sbandierata da Mao Zedong, cercava di ritagliarsi un posto nel mondo. Il continuo rafforzamento militare e infrastrutturale del Dragone ha trasformato l’ex Impero di Mezzo nel perfetto rivale degli Stati Uniti, mentre il gap con l’India, anno dopo anno, si è fatto sempre più ampio ed evidente.

Agli albori degli anni Duemila, il Dragone e l’Elefante indiano partivano quasi allo stesso livello e, almeno nelle analisi degli analisti geopolitici, entrambi sarebbero dovuti diventare i nuovi centri di potere globale. Soltanto la Cina ha mantenuto le attese. E questo ha ovviamente influenzato la politica estera cinese, disputa con l’India compresa.

La valle di Galwan, nella regione orientale del Ladakh, è uno dei tanti punti critici tra i due lati lungo il confine di fatto noto come Line of Actual Control (LAC). Questa linea demarca dal 1962 il confine tra la Cina e l’India, in una zona contesa che delimita il territorio della Repubblica Popolare, rivendicato dall’India, insieme alla Linea McMahon, stabilita nel 1914 tra governo britannico e autorità tibetana – e non riconosciuta poi dalla Cina – che separa invece i due Stati nella parte est dell’Himalaya. Ebbene, la causa principale delle tensioni sino-indiane coincide con un confine conteso e mal definito lungo circa 3.440 chilometri. Lungo la frontiera troviamo fiumi, laghi e cime innevate. È dunque facile che la linea “possa spostarsi”, portando i soldati delle due fazioni schierati in loco faccia a faccia, con il rischio di violenti scontri.

Come se non bastasse, cinesi e indiani competono anche per costruire infrastrutture lungo la LAC. In particolare, la costruzione da parte dell’India di una nuova strada per una base aerea ad alta quota è stata uno dei principali fattori scatenanti di uno scontro tra le truppe di Delhi e quelle di Pechino, che nel 2020 ha provocato la morte di almeno di decine di soldati da ambo i lati. Il 2020, tra l’altro, è stato un anno particolarmente violento, che ha fatto ripartire ogni rivalità. Lo scontro avvenuto nella valle di Galwan – combattuto con bastoni e mazze – è stato il primo confronto fatale tra le due parti dal 1975 in poi.

Mappa di Alberto Bellotto

Braccio di ferro sull’Himalaya

Gli eserciti delle due nazioni più popolose del mondo, entrambe dotate dell’arma nucleare, sono dunque bloccati in teso braccio di ferro all’ombra dell’Himalaya. Nel 2020, i media indiani scrivevano che migliaia di truppe cinesi si sarebbero fatte strada nella valle di Galwan in Ladakh, nella contesa regione del Kashmir. I rapporti affermavano che i soldati di Pechino avevano montato tende, scavato trincee e spostato attrezzature pesanti per diversi chilometri all’interno di quello che era considerato dall’India come parte integrante del suo territorio. La mossa del Dragone era arrivata dopo che l’India aveva costruito una strada di diverse centinaia di chilometri per collegare una base aerea ad alta quota.

Attenzione però, perché l’attuale tensione militare non si limita al Ladakh. I soldati cinesi e indiani sono ai ferri corti anche a Nathu La, al confine tra la Cina e lo stato indiano nord-orientale del Sikkim. Insomma, la decisione dell’India di potenziare le infrastrutture in un’area altamente sensibile sembra aver fatto infuriare Pechino. Dall’altro lato, agli occhi del governo cinese la regione della valle del Galwan è territorio cinese e, secondo l’Esercito Popolare di Liberazione Cinese, l’India si sarebbe fatta strada nella medesima valle alterando lo status quo.

A complicare ulteriormente lo scenario, troviamo la decisione di Delhi, nel 2019, di porre fine alla limitata autonomia dello Stato di Jammu e Kashmir, ridisegnando di fatto la mappa della regione. Il nuovo Ladakh ad amministrazione federale comprendeva l’Aksai Chin, proprio l’area rivendicata dall’India ma controllata dalla Cina. E non è finita qui, perché i nazionalisti indiani hanno più volte parlato di una ipotetica riconquista del Kashmir amministrato dal Pakistan.

Si dà il caso che questa zona sia attraversata da una strada strategica, l’autostrada del Karakorum, che collega la Cina con il suo alleato di lunga data, il Pakistan appunto. Pechino ha investito circa 60 miliardi di dollari nelle infrastrutture pakistane per dare vita al cosiddetto Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), parte integrante della Belt and Road Initiative nonché chiave per trasportare merci da e verso il porto pakistano meridionale di Gwadar. Un porto che offre alla Cina un punto d’appoggio nel Mar Arabico.

Accordi e provocazioni

Negli ultimi anni sia Cina che India hanno costruito infrastrutture lungo il confine, comprese piste di atterraggio e guarnigioni. Tali attività indicano la chiara volontà sino-indiana di voler dare adito ad una militarizzazione prolungata e più ampia della LAC, in vista del possibile arretramento avversario. Con conseguenti maggiori rischi, va da sè, per l’eventuale esplosione di conflitti su piccola scala che hanno tutto il potenziale per trasformarsi in qualcosa di incontrollabile.

Durante il G20 di Bali, il primo ministro indiano Narendra Modi si è alzato dal tavolo del banchetto per stringere la mano al presidente cinese Xi Jinping e fare una breve conversazione con lui. Si è trattato del loro primo scambio di persona da tre anni a questa parte. Ed è avvenuto in un momento particolare, visto che stiamo per entrare nel terzo inverno consecutivo in cui circa 50.000 rinforzi indiani trascorreranno nel terreno inospitale del Ladakh, nell’Himalaya settentrionale, con l’obiettivo di respingere un numero uguale di truppe cinesi di stanza a poche miglia di distanza. Da Delhi ripetono che la situazione è stabile ma imprevedibile. Anche perché i cinesi starebbero continuando a costruire infrastrutture senza sosta.

India e Cina hanno finora tenuto 16 round di colloqui sul confine tra alti comandanti militari, oltre che numerosi impegni diplomatici e politici. Un accordo sulle azioni per ridurre le tensioni in Ladakh sta tuttavia tardando a concretizzarsi. Delle sette aree del Ladakh in cui soldati indiani e cinesi si sono affrontati dal 2020, due non hanno visto cambiamenti, mentre le altre hanno visto entrambe le parti fare un limitato passo indietro. La sfida per l’India sta diventando più preoccupante nella parte orientale del LAC – tra lo stato dell’Arunachal Pradesh e il Tibet – dove la Cina ha un netto vantaggio infrastrutturale e militare.  

L’ultima scintilla risale allo scorso 9 dicembre. Le truppe indiane e cinesi si sono scontrate sul conteso confine himalayano, nel primo episodio del genere in quasi due anni. Il Ministero della Difesa indiano ha dichiarato In un comunicato che i soldati di entrambe le parti hanno riportato ferite minori nello scontro, avvenuto venerdì nel settore di Tawang, nel territorio dell’Arunachal Pradesh, nel nord-est dell’India, una regione remota che confina con la Cina meridionale. Il generale Rana Pratap Kalita, a capo del Comando orientale dell’Esercito indiano, ha dichiarato che le aree alla frontiera settentrionale sono stabili e “saldamente sotto controllo” e ha ribadito che la “trasgressione” cinese nel settore di Tawang è stata “fermamente contrastata”. Dal canto suo, la Cina ha accusato le forze armate indiane di aver oltrepassato “illegalmente” la frontiera e di aver innescato lo scontro.

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