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I talebani si impegnano ad aiutare gli Stati Uniti a ritirarsi dall’Afghanistan, confermando che “la tomba degli imperi” deve tornare al suo popolo per trovare la “pace”.

Con loro si ritireranno tutti i contingenti militari della Nato – compreso il nostro contingente italiano di 900 uomini. Nazar Mutmain, uno dei leader talebani negoziatori di Mosca, ha dettato le condizioni per imboccare la strada della pacificazione e del disimpegno militare nel Paese: gli insorti appoggeranno il ritiro delle truppe americane, impegnate in una lunga estenuante e sanguinosa guerra che dura da oltre 17 anni, e onoreranno la lotta al terrorismo islamista che l’invasione americana intendeva sgominare. 

Questi gli accordi sul tavolo dei negoziati:”Ma Ghani deve andarsene“. Secondo quanto riportato al Corriere della Sera il ritiro di metà delle truppe statunitensi che contano 14.000 soldati americani inizierà il 15 febbraio. Poi nel mese di aprile si darà avvio ad una seconda sessione di negoziati per procedere con il ritiro della metà rimanente delle contingente americano e con esso quella di tutti i contingenti internazionali presenti sul territorio parte della missione Nato “Resolute Support”. In seguito i talebani riprenderanno il controllo di tutto il paese, compresa la capitale Kabul, dove è registrata la più alta presenza di personale militare Nato.

Il presidente afgano Ashraf Ghani, considerato dai talebani un “fantoccio degli Stati Uniti” , dovrà abbandonare la sua carica – ottenuta dopo l’invasione degli americani del 2001 e la conseguente cacciata dei talebani al governo dal 1996. Il leader talebano confida dunque nella cancellazione delle elezioni programmate per luglio, puntando sull’immediata  costituzione di un governo talebano ad interim.

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Secondo Mutmain è infatti ovvio considerare che il governo spetta ai talebani: che rappresentano la maggioranza del paese e che, secondo il suo punto di vista, vincerebbero senza ombra di dubbio ogni tipo di elezione che non venisse veicolata da brogli elettorali. 

La preoccupazione ad ascoltare le condizioni talebane, è la prospettiva di un ritorno in tutto l’Afghanistan di una teocrazia islamica analoga a quella che vigeva prima del 2001. Durante l’incontro negoziale che si è tenuto a Dubai, i leader talebani hanno garantito che le donne potranno andare a scuola e potranno frequentare le università : “ma sempre nel pieno rispetto della legge coranica, che negli ultimi anni è stata troppo spesso violata”, proseguendo, “non permetteremo mai le classi miste. Programmi, modi di vestire, comportamenti dovranno comunque rispettare i dettami dell’ Islam oltre le nostre tradizioni nazionali”. Queste affermazioni, nonostante la maggioranza che i leader talebani reclamano di rappresentare, sembrano aver provocato inquietudini in tutto il paese, soprattutto in quelle regioni come Jaghori – la “shangri-la” dell’Afghanistan – dove le donne avevano iniziato a vantare un’enorme libertà.

Il nodo centrale da sciogliere per il raggiungimento della tanto agognata stabilità dell’Afghanistan resta comunque il processo di mediazione tra i talebani e l’attuale governo presieduto da Ghani, che secondo loro deve lasciare senza condizioni il potere a Kabul, essendo solo un rappresentate degli interessi dell’Occidente. “È un corrotto che mira al potere personale”, secondo Mutmain, che ai tempi del Mullah Omar fu capo dell’ufficio informazioni nella provincia di Helmand, roccaforte storica dei talebani. Altro tasto dolente delle condizioni dettate dai talebani sono la libertà d’espressione dei media e dei giornali: “Chi commetterà il reato di blasfemia o abiurerà l’Islam continuerà ad essere condannato a morte” come già prevede la legge vigente. Nessuno del resto si aspettava che un governo talebano fosse più leggero sulle leggi coraniche rispetto ai precedenti.

I risultati degli incontri avvenuti a Mosca e Dubai negli ultimi mesi mostrano come i talebani confidino nel rispetto della parola data dall’amministrazione Trump per il ritiro delle truppe e per il cessare delle ostilità. Evidentemente devono avervi trovato, complici forse i tempi più maturi, qualcosa di diverso rispetto le amministrazioni Bush e Obama. Se le condizioni dei negoziati verranno rispettate da ambo i lati, e davvero dopo 17 anni di conflitto le truppe americane lasceranno l’Afghanistan con la garanzia che non verrà dato nessun quartiere ad organizzazioni terroristiche come l’Isis, Donald Trump metterà nel sacco una sconfitta che in qualche saprà di “vittoria”.

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