Il rischio di un attacco militare cinese ai danni di Taiwan non è mai stato alto come oggi. A lanciare l’allarme è un alto funzionario taiwanese che, riporta un articolo del Financial Times, è convinto di un’imminente azione bellica della Cina per riconquistare la provincia ribelle. Con lo smacco di Hong Kong ancora fresco, fonti interne raccontano di uno Xi Jinping al limite della sopportazione. La pazienza del presidente sarebbe svanita di fronte all’evidenza di non poter riunificare la Cina con i pezzi mancanti del puzzle, Hong Kong, appunto, e Taiwan, affidandosi soltanto all’arma del soft power.

Pechino rivuole Taiwan

Ogni giorno, a Pechino, il Partito Comunista starebbe valutando e confrontando i costi militari e quelli politici di un’eventuale invasione di Taipei. Se la Cina non è ancora uscita allo scoperto usando il pugno duro, prosegue l’analisi, la causa è da attribuire agli Stati Uniti, i quali hanno garantito il sostegno assoluto a Taiwan. Già dallo scorso gennaio il governo dell’isola aveva capito che la situazione sarebbe presto cambiata, perché fino ad allora Xi non aveva mai esteso il concetto di “un paese, due sistemi” anche a Taiwan. Ma adesso il contesto è cambiato, e le violente proteste di Hong Kong sarebbero state la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso ormai colmo di sopportazione.

L’obiettivo di Xi

Il piano di Xi Jinping non è cambiato di una virgola. L’obiettivo del presidente è riannettere Taiwan alla Cina entro il 2030 o, se possibile, anche qualche anno prima, con le buone o con le cattive. La narrazione politica di Xi si è basata sul cosiddetto sogno cinese, un concetto che può essere esteso in vari campi: dal sogno cinese inteso come successo economico del singolo all’interno di una Nazione ricca e prosperosa, alla riproposizione in campo internazionale di una grande Cina in formato imperiale. Questa seconda declinazione comprende l’annessione di Taiwan, simbolica per almeno due ragioni. In caso di fumata bianca, Xi Jinping compirebbe un passo che nessuno, neppure Mao Zedong, è mai riuscito a fare nella storia cinese; inoltre toglierebbe agli Stati Uniti una roccaforte in mezzo al Mar Cinese. I confini marittimi all’interno di quest’area, infatti, sono contese tra vari Paesi asiatici e la presenza dell’esercito americano in chiave anticinese non fa altro che alimentare nuove tensioni.

L’ombra degli Stati Uniti

Difficilmente, però, la Cina potrà affidarsi all’opzione militare senza mettere in conto la reazione americana. Washington, infatti, ha firmato con Taipei il National defense authorization act, che prevede la presenza di navi da guerra statunitensi nei porti taiwanesi; il che significa che una minima scintilla rischia davvero di provocare un incendio difficile da domare. L’unico motivo che tratterebbe Pechino dal caricare i cannoni è la possibilità, non così remota, di fallire; a maggior ragione se gli Stati Uniti decidessero di intervenire a sostegno di Taiwan in caso di guerra. Xi Jinping vuole passare alla storia come eroe nazionale, non certo come un perdente. Intanto nei pressi della Città Proibita continuano le valutazioni sul fatto di attaccare o meno Taipei.

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