L’ombra della crisi Russia-Ucraina si estende inquietante anche sul Mar Baltico. Lo confermano una volta di più le misure prese dal governo di Stoccolma in queste ultime settimane. Lo scorso 16 dicembre la coalizione di governo rosso-verde guidata da Stefan Löfven, con l’appoggio dei centristi e dei liberali, ha approvato il disegno di legge sulla difesa 2021-2025, un piano pluriennale per la riorganizzazione e il potenziamento delle forze armate del regno. Forte un budget importante (dagli attuali 2,88 miliardi di euro si passa a 8,75 miliardi), si tratta, come ha ricordato il ministro della Difesa Peter Hultqvist, del “più grande investimento per la difesa dagli anni ‘50”. Ovvero dai tempi più cupi della Guerra fredda.
Il piano prevede una profonda modernizzazione dei materiali, la formazione di nuove unità meccanizzate e missilistiche, l’entrata in linea di nuove navi e aerei e il rafforzamento del personale (da 60.000 a 90.000 operatori). La leva, già reintrodotta nel 2017, raddoppierà il suo gettito annuale. In più, pur mantenendo formalmente lo status di non allineata, la Svezia consoliderà ulteriormente i suoi rapporti con la Nato. Il ministro della Difesa ha comunicato infatti la ricostruzione di un dispositivo militare a Sollefteå, Falun e Göteborg (sarà sede di un battaglione anfibio) a protezione delle comunicazioni e dei trasporti del Patto Atlantico.
Alle dichiarazioni sono seguiti presto i fatti e da gennaio gli svedesi hanno iniziato a fortificare nuovamente Gotland. Smilitarizzata nel 2007 dopo l’implosione dell’Urss e la nascita delle repubbliche d’Estonia, Lettonia e Lituania, la grande isola (più o meno un quarto della Sardegna) è incastonata al centro del Baltico, proprio sulle rotte tra San Pietroburgo e l’enclave russa di Kaliningrad. Una posizione strategica centrale che spiega la costante presenza di troppe navi militari russe nelle acque circostanti. Ricostruire qui, magari con la scusa di una semplice “redistribuzione delle forze”, una presenza militare consistente (e ben illuminata dai media nazionali) è una dimostrazione di forza e un segnale forte a Mosca oltre che agli altri attori della disfida in corso. Insomma, Stoccolma è determinata e non si fa intimidire nemmeno da Vladimir Putin.
Decisioni che hanno sorpreso gli osservatori più distratti o superficiali, ancora convinti dell’irrevocabilità della scelta pacifista — la spesa militare passò dal 3% circa del PIL negli anni ‘80 a appena l’1% negli anni 2010 — fatta dai governi svedesi dopo la dissoluzione del blocco comunista. Ma, a ben veder, nulla di nuovo.
Il tintinnare di sciabole degli scandinavi è la logica conseguenza della netta inversione delle politiche militari attuata nell’estate 2017. Quell’estate il governo socialdemocratico, preoccupato dal crescente attivismo militare del Cremlino, decise d’accordo con l’opposizione di centro-destra di chiudere il lungo periodo del disarmo progressivo e interrompere la smobilitazione delle forze armate. Come sopra ricordato, la leva obbligatoria venne ripristinata e si riprese ad investire massicciamente sulla difesa riaprendo alcune delle installazioni dismesse (tra tutte la grande base navale di Muskö, la fortezza sotterranea dell’era della Guerra fredda). Un primo passo, perfettamente prodromico all’odierno piano di riarmo.