La prossima battaglia delle Midway – storico scontro che segnò la svolta nel teatro del Pacifico durante la Seconda guerra mondiale – potrebbe non vedere come protagoniste le superportaerei nucleari che tutte le potenze globali vogliono avere, ma nuove futuristiche piattaforme con capacità sommergibili, che, sviluppate per divenire un asset aeronavale, lanceranno droni “usa e getta” – ben lontani dalla portata e dai radar del nemico, e senza rischiare la vita di nessun pilota.

Quando durante il secondo conflitto mondiale le portaerei dimostrarono di essere forse l’arma di maggiore importanza strategica, tutte le Marine che new erano in possesso furono ben attente oltre che a schierarle anche a proteggerle. Mentre queste navi venivano usate in modo strategico nelle operazioni che si svolgevano nei mari contesi, dove avamposti per i rifornimenti o per lo schieramento dei bombardieri potevano decidere le sorti di un’intera guerra.

Tale presa di coscienza spinse le potenze a dotarsi di quest’arma, che nella Crisi di Suez, nello scontro per le Falkland, e nelle recenti operazioni in Medio Oriente, proseguirono nell’acclarare la loro versatilità strategica e la loro indiscussa forza di persuasione. È per questo motivo forse che la Cina – potenza in indiscutibile ascesa – ha lavorato per anni nei suoi cantieri navali per armare una nuova flotta di portaerei che, secondo i programmi, dovrebbe raggiungere entro il prossimo ventennio un numero di unità comparabile a quello detenuto dalla flotta statunitense (12). E che per il medesimo motivo, potenze che necessitano di “proiettare il loro potere in tutto il mondo” – come Gran Bretagna e Francia, ma anche la Russia – investono milioni per svilupparne e schierarne di nuove. Sempre più grande e potenti.

Secondo i nuovi progetti però, tutto questo potrebbe già apparire obsoleto. Una squadriglia di cacciabombardieri stealth F-35 lanciati dal ponte della superportaerei statunitense Gerald G. Ford, o da quello della Queen Elizabeth e della sua gemella Prince of Wales, sarebbero già da considerarsi “vettori che navigano verso il tramonto” secondo le parole del professore americano Robert Farley, esperto di strategia navale, che biasima Paesi come Regno Unito, Giappone e anche l’Italia – prossima alla messa in servizio dell’incrociatore portaeromobili Trieste – poiché continuano a immobilizzare capitali per costruire questa “antiquata” tipologia di nave da battaglia.

L’obsolescenza e il pericolo per le nuove portaerei

Quando la Marina imperiale giapponese, avvantaggiata dopo l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor e dopo lo scontro nel Mar dei Coralli, tentò di distruggere una volta per tutte la flotta americana nello scontro delle Midway, perse quattro delle sue fondamentali portaerei, e dovette di fatto rinunciare ad ogni sua brama nel Pacifico. Se oggi una singola portaerei costosa e sofisticata come un vettore della nuova classe Ford venisse affondata e distrutta, gli Stati Uniti dovrebbero sopportare il doppio delle perdite (in vite umane) di quelle subite durante l’attacco a Pearl Harbor. E questo potrebbe avvenire, nel campo delle ipotesi di scenari fantastrategici del futuro, per mezzo delle nuove armi che Cina e Russia (ma anche Stati Uniti) stanno sviluppando da anni: parliamo di siluri di nuova generazione capaci di raggiungere alte velocità, della nuova generazione di missili balistici anti-nave (come il missile cinese Df-21D) e delle spesso citate armi ipersoniche (come il missile russo Zircon).

Per dare un esempio di cosa potrebbe portare sul fondo dell’oceano un solo missile ipersonico che andasse a segno su un vettore di questo genere, si pensi alla nuova portaerei statunitense Uss Gerald G. Ford, che è costata 13 miliardi, e porterebbe con se ben 74 velivoli che compongono la sua componente aerea tra caccia F/a-18 Super Hornet, cacciabombardieri Lockheed Martin F-35c ed elicotteri Seahawk Mh-60 per un valore di altri 5 miliardi di dollari. Le perdite in vite umane potrebbero essere enormi sull’equipaggio che conterebbe fino a 4600 uomini.

Come cambiare dunque le sorti di un conflitto del futuro che nella strategia navale si avvarrebbe ancora una volta della “obsoleta” quanto fondamentale arma rappresentata dalla portaerei? Secondo alcuni esperti, la risposta sarebbe da cercare nello sviluppo di una nuova classe di vettori sottomarini capaci di lanciare in emersione non solo missili balistici, bensì droni da battaglia “usa e getta” che agirebbero come gli squadroni d’attacco di un gruppo aereo imbarcato sulle portaerei.

I vettori aeronavali del futuro

Se fino ad oggi ogni ipotesi sulle portaerei come arma da traghettare nel futuro si era limitata a pensare a vascelli portaeremobili “convenzionali” che lanciassero però nuovi velivoli a pilotaggio remoto – nel concetto di “sciami” con o senza uno squadron leader in carne e ossa su un caccia multiruolo di quinta o sesta generazione – per il domani si iniziano a valutare piani alternativi che prevedano vettori sottomarini capaci si lanciare in emersione veicoli da combattimento senza pilota (Ucav) – più economici e capaci di garantire nessun nessuna perdita umana. Tale idea di vettori di ridotte dimensioni che trasportino e lancino velivoli “a basso costo” era già stata ventilata dal senatore John McCain. Ex pilota di Marina che prestò a lungo servizio sulle portaerei dell’Us Navy.

Secondo i programmi più avanzati dalla Marina, in un prossimo futuro i nuovi Ucav dovrebbero già sostituire gli aerei con equipaggio. “I droni non dovrebbero (per forza) tornare alla base dopo essere stati lanciati” – afferma il professor Farley – “In molte operazioni rischiose, diventerà impossibile giustificare le spese di un aereo con equipaggio”, per non parlare della sua perdita. La rimozione del pilota – oltre che a salvaguardarne ovviamente l’incolumità – “riduce la complessità e il costo degli aeromobili”, consentendo ai militari di acquistare più droni, e di poter sopportare più perdite. Attualmente la Marina degli Stati Uniti ha già concluso con successo test che hanno visto il lancio dal ponte di una portaerei convenzionale di droni autocisterna Mq-25a “Stingray” (in servizio dal 2024), e sta testando il drone da combattimento come il Xq-58a “Valkyrie” – armabile con due bombe planate all-weather “Stormbreaker” GBU-39 trasportare internamente per ridurre al minimo a sua firma radar.

Le “portaerei sommergibili”

Una portaerei capace di lanciare e recupera droni sarebbe senz’altro un enorme passo avanti: ma questo non sarebbe ancora sufficiente. Questi velivoli sarebbero comunque trasportati e lanciati da una portaerei del valore di miliardi di dollari che dovrebbe spingersi nel raggio dei nuovi missili balistici – sebbene protetta dal suo onnipresente gruppo da battaglia.

Tuttavia, se i droni si dimostreranno affidabili come si stanno dimostrando nei test, l’ipotesi potrebbe diventare quella di ridurre drasticamente numero dell’equipaggio “umano” e dimensione dei vettori navali che li lancerebbero in futuro. Secondo l’esperto di guerra sottomarina H.I. Sutton, fondatore del sito web di Covert Shores, l’uso di droni da battaglia potrebbe portare le marine militari del futuro a sviluppare e mandare in battaglia vettori portaeremobili con un equipaggio ridotto al minimo, dotate di robot e tutte le strumentazioni necessarie per lanciare e recuperare i droni di nuova generazione, che potrebbero essere affiancati anche da velivoli senza equipaggio bastati sul concetto del drone tubolanciabile Sea Robin.

Il passaggio ulteriore sarebbe quello di garantire la massima invisibilità del vettore. Dunque, oltre al ridurre a massimo la sua firma radar, l’idea sarebbe quella di nasconderlo sotto le onde. Per questo Sutton suggerisce una nave semi-sommergibile che “utilizzi serbatoi di zavorra per sollevarsi o abbassarsi in relazione al livello del mare” – come i precursori dei sottomarini nella prima guerra mondiale. Un vettore semi-sommergibile potrebbe immergersi di poche decine di metri. Ma questo basterebbe a renderle meno visibili e a proteggerlo da una serie di minacce cui sono esposte le unità navali di superficie. Altresì la costruzione di un grande sottomarino a propulsione nucleare risulterebbe l’opzione ottimale per navigare in assetto silenzioso fino alla prossimità dell’obiettivo, e lanciare in emersione dei droni per portare a termine la loro missione. Il professor Farley, almeno sulla carta, conviene con le conclusione dell’esperto di Covert Shores, affermando che sebbene: “Una portaerei può sfruttare la sua velocità e mobilità per evitare attacchi missilistici”, “non può eguagliare la furtività di un sottomarino, seppur di grandi dimensioni”.

Idee realizzabili o solo fantasie?

Un sottomarino altamente tecnologico che in assetto silenzioso raggiunge la costa di uno stato canaglia e lancia uno “sciame di droni”, che supportato dall’intelligenza artificiale e dai dati satellitari compie un raid su un obiettivo ostile con successo, sembra lo spunto fantascientifico di un film hollywoodiano tra gli X-men della Marvel e un sequel di G.I.-Joe. Ma la verità è che “qualcosa” che si avvicina a questi progetti è già reale. Esisterebbero infatti quattro sottomarini americani di classe Ohio che messi in cantiere per trasportare missili balistici, vennero tagliati dalla forza nucleare del Pentagono a causa degli accordi di controllo degli armamenti con la Russia. Questi sottomarini, invece di essere ritirati, sono stati modificati per trasportare missili da crociera Tomahawk e droni lanciabili Sea Robin – ossia velivoli a pilotaggio remoto trasportati da un’unità sottomarina e in grado di “cercare e attaccare obiettivi”: una delle missioni principali svolte da una portaerei.

Molti non sanno, inoltre, che durante la Guerra Fredda il Pentagono aveva avallato il progetto di creare dei “sottomarini portaerei” capaci di emergere dalle profondità oceaniche di ogni angolo del globo per lanciare dei “caccia” custoditi in appositi hangar. Si trattava dei sottomarini nucleari designati come “An-1“: vascelli che sarebbero dovuti misurare 150 metri, con una velocità di crociera (sommersa) di 16 nodi, capaci di lanciare uno squadrone di otto aerei da combattimento a decollo verticale. I velivoli erano progettati dalla Boeing (anche se non hanno mai superato la fase di progettazione) e avrebbero dovuto raggiungere una velocità di Mach 3. Il loro recupero, o quello dei piloti, ammesso che sarebbero tornati indietro dalla loro missione, sarebbe stato simile a quello previsto per gli Hurricane lanciati dalla “Cam-ship” che scontavano i convogli alleati nell’Atlantico durante la seconda guerra mondiale. Attraverso l’ammaraggio o il lancio del pilota.

Dunque, sebbene questi progetti appaiano frutto della più fervida immaginazione, è dal 1958 che qualcuno al Pentagono pensa a come si potrebbe lanciare uno strike aereo da un sottomarino per non rischiare la perdita di una portaerei.