Partiamo da una prima riflessione. L’Isis, nell’ultimo anno, ha perso circa il 40% del suo territorio in Iraq e il 10% in Siria.L’impressionante estensione di 210.000 km2 del 2014, pari alla superficie della Gran Bretagna, è ormai un ricordo lontano, anche se sono ancora molto estesi i territori sotto il controllo dello Stato islamico (90.000 km2).Certamente il trend che si registra ormai da settembre, ovvero dall’inizio delle operazioni militari russe in Siria, ha fatto registrare un’avanzata delle forze del regime che si accingono a riprendere il controllo di Aleppo, ha confermato i successi militari dei miliziani curdi e ci lascia intendere che le forze armate irachene stanno progressivamente tornando ad essere in grado di fare arretrare l’ISIS. Ben diversa e ancora lontana la soluzione per quanto riguarda il processo di pace in Siria che, nell’ultimo vertice di Ginevra, ha subito un ulteriore arresto.I negoziati, che sarebbero dovuti iniziare il 25, sono slittati al 30 e ora sono sospesi fino al 25 febbraio ed hanno confermato tutte le attuali criticità del processo di transizione politica. In primo luogo l’assenza delle formazioni curde, sulla cui presenza la Turchia ha posto il veto, ha privato il tavolo di Ginevra di una delle poche milizie che, nell’ultimo anno, a partire dall’assedio di Kobane, ha sconfitto in più di un’occasione l’ISIS sul campo di battaglia.Le vittorie militari dei curdi del PYD, il Partito dell’Unione democratica curda, stanno creando le condizioni per la costituzione di una regione curda, il Rojava, in Siria. Il consolidamento delle formazione curde inoltre preoccupa Ankara, che sembrerebbe avere iniziato a rafforzare la sua presenza militare lungo il confine. Sul fronte, invece, dei contrasti tra i gruppi di opposizione e il regime di Assad una delle ragioni dell’interruzione dei negoziati si deve ricercare nel fatto che le milizie dell’opposizione siriana hanno a lungo chiesto come precondizione un cessate il fuoco temporaneo, la fine dell’assedio di alcune città e villaggi da parte delle forze del regime ed il rilascio simbolico di prigionieri. Condizioni, quest’ultime, che non si sono concretizzate ed anzi l’offensiva su Aleppo messa in atto dal regime sostenuto da aviazione russa, Hezbollah libanesi, milizie sciite irachene e militari iraniani ha di fatto compromesso i negoziati che sono stati “congelati” dall’inviato dell’Onu Staffan De Mistura fino al 25 febbraio.Anche le milizie turcomanne, sostenute dalla Turchia, sono state bersagliate dall’ aviazione russa e dalle forze di Assad e, al tempo stesso, si avvicinano pericolosamente alle zone controllate dai curdi. Le opposizioni hanno inoltre denunciato le incursioni compiute dall’aviazione russa (300 raid in 2 giorni) che, secondo le testimonianze dei ribelli, avrebbero colpito obiettivi civili e non miliziani. L’obiettivo delle operazioni militari condotte dal regime è quello di isolare i ribelli rimasti ad Aleppo e tagliare qualsiasi via di comunicazione con il confine con la Turchia.Il quadro che emerge in queste ore sembra far pensare ad un collasso delle milizie presenti ad Aleppo, città dalla quale ormai la popolazione è in fuga diretta verso la Turchia. Proprio ieri sera, il Premier Ahmet Davutoglu ha annunciato che più di 60.000 persone sarebbero in fuga da Aleppo e si starebbero ammassando alla frontiera, attualmente chiusa della Turchia. Una nuova e drammatica emergenza umanitaria, quella dei profughi, che è stata oggetto della conferenza svoltasi due giorni fa a Londra dei Paesi donatori che si sono impegnati a stanziare 10 miliardi di dollari per sostenere gli sfollati in Siria e per aiutare i paesi confinanti, Libano, Turchia e Giordania a fronteggiare il flusso di profughi. In attesa quindi della ripresa dei negoziati, da un lato si registra l’impegno ad aiutare i profughi siriani, dall’altro si manifestano alcuni segnali che potrebbero far presagire ad un ulteriore stravolgimento dello scenario siriano. La notizia fatta trapelare dai media russi, secondo la quale ci sarebbero manovre da parte dell’esercito turco, preparatorie con molta probabilità ad un’invasione delle provincie settentrionali della Siria così come la disponibilità da parte dell’Arabia Saudita di inviare truppe di terra in Siria, con il consenso della coalizione anti Isis, sono elementi che possono cambiare nuovamente gli equilibri del conflitto siriano a sfavore di Assad. Resta ancora aperta, seppure con scarse possibilità, l’opzione che si possa arrivare ad un cessate il fuoco in concomitanza con la Conferenza di Monaco sulla sicurezza (in programma dal 12 al 14 febbraio). L’alternativa, anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate ieri dal componente della Duma Pavel Krasheninnikov, che ha messo in guardia l’Arabia Saudita dall’inviare un suo contingente di terra in Siria senza l’assenso di Damasco, rischia di essere un’ulteriore escalation dagli esiti tutt’altro che certi.
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