Da una parte un soldato appena arrivato da Kiev, dall’altra un fabbricato oramai ricoperto da rampicanti dalla cui finestra si scorgono vecchi attrezzi e vecchi mobili abbandonati. Da una parte quindi il tempo attuale, quello che parla delle crescenti tensioni tra Ucraina e Russia, dall’altra il tempo passato, immobile e fermo da quasi 36 anni. Le ultime immagini arrivate dal nord dell’Ucraina mostrano come l’area di Chernobyl si sta riappropriando della storia. Qui dove anche i calendari rimasti appesi nelle case e negli uffici evacuati riportano la data del 21 aprile 1986, il giorno dell’esplosione nucleare più tristemente nota di sempre, la contemporaneità è tornata a fare capolino. La storia sta ripassando da queste parti perché è da qui che passa il corridoio più corto tra Kiev e la Bielorussia. In caso di invasione russa da nord, le truppe di Mosca si imbatterebbero in primo luogo con il sarcofago che avvolge il reattore numero 4, quello da cui è partito il disastro. Per questo i comandi militari ucraini hanno deciso di inviare qui i soldati. Truppe disperse nella boscaglia contaminata a guardia di un territorio disperso tra i meandri della storia ma diventato, improvvisamente, perno della contemporaneità.
Da Chernobyl passa la difesa di Kiev
I confini più caldi in questo momento sono quelli orientali. É qui del resto che Russia e Ucraina vengono direttamente a contatto. Gli occhi sono puntati da settimane su Charkiv, seconda città ucraina. Più di un milione di abitanti che vivono a 40 km dalla frontiera russa e una minoranza russofona al suo interno che possibilmente renderebbe meno difficoltoso il passaggio dei mezzi di Mosca. Non è un caso che buona parte dei soldati russi ammassati lungo i confini ucraini si trovi proprio a una manciata di ore dalla città. Le tensioni tra Russia e Ucraina sono divampate soprattutto a partire da dicembre e sono figlie di un conflitto che si trascina almeno dal 2014. Motivo del contendere è il posizionamento geopolitico di Kiev: il Cremlino non accetterebbe mai un governo ucraino pienamente integrato nella Nato. Obiettivo principale quindi non è Charkiv, ma per l’appunto la capitale. Se dai corridoi orientali dovessero sorgere dei problemi oppure se i generali russi volessero aprire più fronti, allora Kiev potrebbe essere presa più facilmente da nord.
I corridoi in questo caso sarebbero due e avrebbero origine dal territorio bielorusso. Il primo seguirebbe l’itinerario dell’autostrada M01, l’arteria cioè che collega la città bielorussa di Homel con quella ucraina di Chernihiv, prima di confluire nella periferia orientale di Kiev. Quello più breve, e quindi più potenzialmente appetibile per i russi, avrebbe invece come snodo principale proprio Chernobyl. La centrale nucleare si trova a meno di 20 km dalla frontiera con la Bielorussia. Lasciandosi alle spalle il sarcofago attorno ai reattori, Kiev dista non più di 140 km. E non ci sono, nel mezzo, ostacoli militarmente rilevanti. Da qui la scelta delle autorità ucraine di presidiare la zona contaminata. La decisione è stata presa dopo le esercitazioni congiunte tra russi e bielorussi della settimana scorsa. Il governo di Minsk ha dichiarato di appoggiare la Russia nella disputa con l’Ucraina, altro indizio che porterebbe a pensare alla concessione del proprio territorio alle truppe del Cremlino in caso di guerra.
Quei soldati inviati nella foresta
Intervistato dagli inviati del New York Times, il colonnello Yuri Shakhraichuk, a capo delle guardie di frontiera ucraine, sembra essere consapevole di non avere forze a sufficienza per frenare l’arrivo dei soldati russi: “Ma qui raccogliamo informazioni – ha dichiarato ai giornalisti statunitensi – Da qui monitoriamo cosa avviene dall’altra parte”. Lo scenario è surreale. Perché tutto fa pensare, guardando il posizionamento delle truppe inviate da Kiev, a un prossimo fronte di guerra. Ma non ci sono attorno città da difendere o civili da evacuare. Ci sono soldati inviati nel nulla, lì dove la storia non mette piede da quasi quattro decadi. L’unico filo di collegamento tra Chernobyl e la contemporaneità è dato da comitive di turisti che possono visitare per poche ore i cimiteri industriali e le località abbandonate oppure dagli operai che al mattino lavorano per la messa in sicurezza della centrale. Quando cala la sera, da 36 anni a questa parte, la vita svanisce. I visitatori rientrano a Kiev, i lavoratori in altre città lontane dalla cintura di sicurezza.
Una cintura larga almeno 30 km dal cuore della centrale. Per legge qui è vietato risiedere ed è vietato avviare qualsiasi tipo di attività. I terreni sono ancora contaminati e l’uomo li ha dovuti lasciare alla natura che, dal canto suo, si sta riprendendo ogni spazio. Una situazione riscontrabile anche al di là del confine. In Bielorussia, in un’area che si estende fino a 90 miglia oltre la frontiera, vi è la Polesie State Radioecological Reserve. Una zona disabitata, una fascia di sicurezza per impedire che la popolazione venga a contatto con i lasciti dell’esplosione del 21 aprile 1986. Sembra difficile pensare che proprio questo territorio a breve possa essere destinato a diventare teatro di una nuova guerra. Ma gli eventi in corso potrebbero trasformare il surreale in reale.
In caso di guerra la centrale è al sicuro?
I primi rischi di un conflitto all’ombra del reattore numero 4 li correrebbero i soldati, ucraini o russi che siano. L’esposizione prolungata alle radiazioni nel lungo periodo potrebbe procurare danni fisici importanti. Chi lavora dentro la fascia di sicurezza può restare al massimo pochi giorni, poi deve dare il cambio ad altri colleghi. Chi controlla Chernobyl deve quindi mettere in conto un rapido e veloce ricambio di truppe. Quanto al coinvolgimento diretto della centrale negli scontri, i rischi appaiono remoti. Il materiale radioattivo è ingabbiato all’interno di un grande sarcofago e, più che un conflitto, a preoccupare sono possibili infiltrazioni di acqua che nel 2021 hanno fatto parlare di un possibile “risveglio” del reattore del disastro.