Alla vigilia della prosecuzione dei negoziati di pace per la Siria, che si terranno a Ginevra a partire da oggi e dai quali non si attendono significativi sviluppi, emergono alcuni segnali importanti da parte degli attori presenti più o meno indirettamente nel conflitto siriano.

L’Iran, tramite il Presidente Hassan Rouhani, nella giornata di sabato, ha ribadito il punto di vista di Teheran sulla guerra all’ISIS, chiarendo come senza l’impegno iraniano probabilmente oggi il mondo si ritroverebbe con lo Stato Islamico a Baghdad e a Damasco. Proprio la Siria, secondo fonti iraniane, si sarebbe trovata in prima fila a fronteggiare un complotto contro l’Iran che vedrebbe l’ISIS impegnato a cercare di infiltrare le sue cellule nella Repubblica Islamica dell’Iran. A conferma del ruolo iraniano nell’area sono trapelate, sempre nella giornata di sabato, le dichiarazioni del Ministro dell’intelligence iraniana, Mahmoud Alavi, che ha spiegato ad un canale televisivo libanese vicino ad Hezbollah che sarebbe stata offerta ad Assad e alla sua famiglia, asilo in Iran, ma questi avrebbe rifiutato.

La Russia, dopo aver annunciato lo scorso 14 marzo di avere raggiunto gli obiettivi che si era prefissata sin dall’inizio delle operazioni militari intraprese in Siria nel settembre del 2015 e aver annunciato un graduale ritiro dal teatro operativo siriano, eserciterà il suo peso sulle parti coinvolte nel conflitto, forte dell’avere cambiato i rapporti di forza della guerra e lo stesso futuro di Assad.

La Russia, tagliando le principali vie di comunicazione tra le forze di opposizione e la Turchia, ha evitato che le sorti del regime di Assad venissero determinate dalle armi, imponendo di fatto un negoziato multilaterale sui futuri assetti della Siria. Non si può escludere che Mosca voglia fare della Siria un modello su cui impostare non solo le relazioni con Washington ma anche nuove regole in altri contesti, come ad esempio in Ucraina. In questa ottica lo stesso annuncio di un possibile disimpegno russo dalla Siria può tornare utile a Mosca per assicurarsi l’annullamento delle sanzioni europee e trovare una distensione con i paesi occidentali e i paesi del Golfo che hanno criticato l’entrata in Siria della Russia e che chiedono da tempo il suo ritiro. Un’altra carta che Putin potrebbe giocare nello scacchiere siriano potrebbe consistere nel sostenere la presenza dei curdi ai negoziati di Ginevra e premere per la creazione di uno stato curdo con gli Stati Uniti. Paradossalmente l’annunciato ritiro toglie infine un certo potere agli alleati siriani e iraniani che, con molta probabilità, hanno obiettivi diversi da Mosca sui futuri assetti della Siria.

Gli Stati Uniti, da quanto emerso dalle dichiarazioni rilasciate ieri dal Presidente Barack Obama alla BBC nel corso della sua visita in Gran Bretagna, non sembrano intenzionati a dispiegare forze di terra in Siria per rovesciare il regime di Assad e auspicano che la Comunità Internazionale possa compiere ulteriori pressioni su tutte le parti in causa, comprese Russia, Iran e opposizioni moderate, affinché queste si siedano intorno a un tavolo per trovare una soluzione alla crisi siriana.

La realtà sul campo di battaglia è però ancora incerta e, nonostante la ripresa degli scontri intorno ad Aleppo e nelle province di Latakia e Homs, la tregua iniziata lo scorso 27 febbraio è ancora in vigore ma altamente a rischio se non si interviene quanto prima, come ha tenuto a precisare l’inviato Speciale dell’Onu, Staffan de Mistura. Molti infatti sono gli ostacoli alla prosecuzione dei negoziati che si protrarranno fino a mercoledì. Una parte dell’opposizione siriana ha abbandonato i colloqui a causa delle violazioni della tregua da parte del regime siriano e il bombardamento da parte di questo del mercato nella città di Maaret al – Numan.

La decisione di non prendere parte ai negoziati è stata duramente criticata dal vice Ministro degli Esteri siriano, Faisal al – Mekdad, che ha accusato l’opposizione di scarsa serietà nel raggiungimento di una transizione politica sulla quale non è ancora stato risolto il nodo cruciale della permanenza di Assad al potere.

A conferma di quanto la crisi siriana sia ormai a tutti gli effetti il primo conflitto dell’era post – unilateralista, si registra l’attivismo diplomatico della Cina che, dopo essersi opposta più volte utilizzando insieme alla Russia il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad un possibile intervento della Comunità Internazionale contro Assad, ha nominato un proprio inviato speciale, Xie Xiaoyan, per lavorare attivamente ad una soluzione politica del conflitto siriano. Un’ulteriore conferma di come Russia e Cina non siano più disposte a subire scelte unilaterali, come l’invasione irachena nel 2003 o l’intervento miliare in Libia nel 2011, e siano pronte a fare la loro parte nelle varie aree di crisi, dal Nord Africa all’Ucraina, per passare dal Medio Oriente fino alle dispute nel Mar Cinese Meridionale.