L’esercito iracheno è pronto a entrare in Siria per sconfiggere lo Stato islamico. La notizia è stata sottovalutata, ma le frasi del premier Haider al Abadi hanno un’importanza notevole. 

Come riporta il sito d’informazione Rudaw le parole di Abadi gettano le basi per un possibile intervento iracheno su scala regionale. “La situazione in Siria rimane una vera sfida e siamo concentrati sulla ricerca di una soluzione”, ha detto Abadi durante la sua conferenza stampa settimanale di domenica. “Siamo passati dalla lotta contro il terrorismo in Iraq alla lotta al terrorismo in Siria” ha aggiunto il primo ministro iracheno. 

“Il nostro progetto si è sviluppato dalla lotta al terrorismo in Iraq alla lotta al terrorismo nella regione“, ha continuato il premier. Ha negato la volontà di violare la sovranità nazionale della Siria. Ma ha di fatto dichiarato di essere pronto a un accordo per entrare con le sue truppe nel Paese. Perché è proprio al confine fra Iraq e Siria che si annida l’ultima terribile sacca di resistenza dello Stato islamico. E lì è pronta a riaccendersi rintuzzata dai movimenti delle truppe straniere.

L’ascesa dell’Isis è partita dall’Iraq

La situazione dell’Iraq viene spesso sottovalutata perché l’attenzione è quasi sempre spostata sulla Siria. Non va dimenticato però che l’Isis ha investito gran parte dell’Iraq nel 2014 . Così come non va dimenticato che i suoi leader, in gran parte, erano iracheni. Anzi, è proprio dalle carceri irachene che Daesh ha avuto la sua incubatrice. E gli interventi americani, con il loro successivo ritiro, non hanno fatto altro che creare le condizioni ideali per l’ascesa del Califfato.

Le forze irachene all’inizio sono state completamente annichilite dall’avanzata dello Stato islamico. L’esercito di Baghdad era al collasso e soltanto le milizie peshmerga e quelle sciite  hanno evitato il crollo dell’Iraq sotto le bandiere nere. Da quel momento, tra Teheran e Baghdad è sorto un legame molto forte, che fino a pochi anni fa sembrava impensabile. Un legame che gli Stati Uniti, Israele e monarchie del Golfo guardano con estrema preoccupazione. Proprio per questo l’intervento della coalizione internazionale a guida Usa si è concentrato su questo Paese. E la conquista di Mosul, nel luglio del 2017, dopo un’offensiva di nove mesi, ne è stata la dimostrazione. 

L’Iraq ribolle 

L’Iraq vive un momento molto complesso . Nel nord, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan già ha colpito alcune postazione curde . E ha già dichiarato di essere pronto a entrare in Iraq. Parlando a Istanbul lunedì scorso, il presidente turco ha avvertito che la Turchia “può colpire i terroristi dove e quando vuole”, senza dover chiedere “il permesso di altri Paesi”. “I terroristi scappano da Afrin verso Siria e Iraq e abbiamo chiesto a Baghdad di agire insieme, se non accettano faremo da soli”, questo il monito di Erdogan. 

Nel frattempo, l’Isis sta tornando e le uccisioni iniziano a essere molte. Il governo iracheno si trova adesso a dover fronteggiare una minaccia molto grave. E questo nonostante lo stesso premier avesse detto che il Califfato era stato sconfitto. E le elezioni del 12 maggio sono alle porte. Lo scontro per il controllo dell’Iraq non va minimizzato. Il Paese, come la Siria, fa parte di quel corridoio sciita che Israele, Arabia Saudita e Stati Uniti vogliono interrompere. E l’Iran non ha intenzione di cedere.