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La questione relativa ad Afrin non appare affatto conclusa: da Ankara il presidente Erdogan ha annunciato, nelle scorse ore, l’occupazione dell’intero territorio del cantone curdo a nord della provincia di Aleppo, pur tuttavia le “fatiche” per i soldati turchi non sembrano essere terminate e questo per via di prime importanti frizioni all’interno dei cosiddetti “ribelli” che hanno preso il potere nella cittadina curdo – siriana. Anche se attualmente nelle sedi istituzionali sventola la bandiera turca, Erdogan già nei giorni scorsi ha affermato che al termine dell’operazione Afrin verrà restituita; di certo, nelle intenzioni del presidente turco, non vi è la volontà di rifar comparire le bandiere della Repubblica Araba Siriana, da Ankara ad essere al momento considerati legittimati a governare sono gli ex dell’Fsa (Free Syrian Army), una coalizione formata da sigle legate ai Fratelli Musulmani ed alla galassia jihadista siriana. È proprio all’interno di questo conglomerato di gruppi che starebbero sorgendo, secondo diversi report lanciati su Twitter, dissidi importanti che hanno richiesto l’intervento mediatore dell’esercito turco.

I turchi costretti ad intervenire 

Afrin è caduta lo scorso 18 marzo; subito dopo l’ingresso dei blindati dell’esercito di Ankara e delle bandiere della Siria coloniale, all’interno delle quali si raggruppano le sigle della cosiddetta “opposizione”, si è iniziato a distruggere ogni simbolo afferente alla presenza curda nell’area, a partire dai vessilli del YPG e fino anche alle statue di eroi curdi del passato. Che a prendere il potere in questa parte di Siria siano state fazioni integraliste, lo si apprende anche da quanto dichiarato nei giorni scorsi al Jerusalem Post da Kamal Sido, direttore del dipartimento per la Società dei Popoli Minacciati in Medio Oriente: “Arrivano immagini da Afrin – afferma Sido – In cui si notano donne obbligate ad indossare l’hijab, i simboli religiosi soppiantare quelli curdi e le scuole e le università praticamente quasi chiuse”. Sido è nativo proprio di Afrin, anche se dal 1990 vive in Germania, conosce dunque bene la situazione nel cantone curdo: “È sempre stato un territorio laico ed aperto alla convivenza, chi oggi governa ad Afrin rischia di spiazzare via tutto”.

Ma adesso all’interno di questo fronte islamista, iniziano ad aprirsi divergenze; nella giornata di domenica, come evidenziato da diversi siti web locali e da report postati su Twitter direttamente dal cantone di Afrin, sono iniziati scontri tra jihadisti filo turchi che hanno portato anche a sparatorie e prese di prigionieri tra le varie sigle. A dirimere le controversie sono stati gli stessi soldati turchi, intervenuti più volte nelle ultime ore come forza cuscinetto tra i gruppi contendenti; alla base delle tensioni, ci sarebbero le manifestazioni effettuate tra venerdì e sabato dove diversi cittadini hanno chiesto ai turchi di abbandonare l’area di Al Bab: a queste dimostrazioni avrebbero partecipato alcuni leader di sigle considerate vicine ad Ankara, da qui l’inizio degli scontri tra più gruppi che hanno partecipato sia alla recente operazione “Ramoscello d’Ulivo” che a quella di “Scudo nell’Eufrate”, con la quale turchi ed alleati hanno preso possesso delle aree di Al Bab e Jarabulus a nord di Aleppo.

Tra queste fazioni non regnerebbe dunque armonia, tutt’altro sono le forze turche a dover sudare per riportare la calma ed evitare ulteriori bagni di sangue; ma quella degli scontri tra sigle islamiste non è certo un qualcosa di nuovo in Siria: ad Idlib già da anni periodicamente si instaurano faide e vendette trasversali tra fazioni radicali, anche in queste ore non mancano nell’ultima provincia rimasta fuori il controllo di Assad scontri tra più gruppi islamisti, specie tra quelli all’interno di Tahrir Al Sham (ex fronte al Nusra) ed Ahrar Al Sham (nome afferente alle fazioni finanziate da Ankara). Ad Afrin come quindi ad Idlib: una volta preso possesso di un territorio, la galassia islamista che si raggruppa sotto le insegne dell’ex Fsa inizia a frammentarsi con più leader che entrano in lotta tra loro.

Erdogan non vuole fermarsi: Manbij nel mirino

Intanto il presidente turco, forte del successo militare ottenuto nel cantone di Afrin, adesso vorrebbe concentrarsi su un’altra zona controllata dai curdi nella provincia di Aleppo: tutto sarebbe pronto, secondo i vertici militari di Ankara, per l’avvio di un’operazione nel cantone di Manbji il quale, dall’estate 2016, è controllato dalle milizie Ypg anche se al suo interno la maggioranza della popolazione è araba. Secondo Erdogan anche in questa zona si nasconderebbero quelli da lui considerati come terroristi curdi, dunque l’esercito turco appare intenzionato a penetrare verso la città di Manbji assieme ad altre sigle vicine ad Ankara, seguendo lo schema di quanto visto già a Jarabulus ed Afrin.

In tutto il nord della Siria quindi, ci si prepara a nuove incursioni turche mentre i curdi starebbero progettando il passaggio ad una strategia di guerriglia volta a ridimensionare i successi di Ankara, sfruttando anche le prime divisioni che emergono all’interno dei cartelli islamisti.

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